Mi rendo conto che all'inizio del Progetto, soprattutto, ho
spesso cambiato i titoli proposti da Fofi a seconda del mio estro del momento e
della disponibilità della biblioteca in cui lavoravo. Questo non vi sconvolge
più di tanto, vero, vero? Ad esempio, in questo caso, l’Illuminato Goffredo ci
proponeva, dello scrittore irlandese William Trevor, Leggendo Turgenev. All'inizio della suarecensione lo definiva però “Maestro del racconto”, e citava la sua raccolta Notizie dall'Irlanda. E allora, visto
che ero ormai lanciatissima su quel fronte e che in biblio la raccolta era
presente (su su in cima allo scaffale), ho inforcato la scala, sprezzante del
pericolo, mi ci sono arrampicata e ho afferrato il polveroso volume edito da
Guanda.
Ci sono storie che ti capita di leggere proprio durante la
stagione giusta, e proprio quando sei dell’umore ideale per affrontarle.
Talvolta penso che le parole si tramutino a seconda del tempo e del tuo stato
d’animo, da quanto risultano calzanti in quel momento, e forse è proprio così.
Fatto sta che i racconti di Notizie
dall’Irlanda erano perfetti per un gennaio di disagio. Già in sé la forma
del racconto, a mio modesto parere, è per sua natura la quintessenza del
disagio. Non potrebbe essere altrimenti: avete voi memoria di un racconto
allegro, simpatico, squillante e brioso? Io sinceramente no, a parte forse i Motti di spirito del buon vecchio Freud,
ma questa è un’altra storia. Essendo io amante delle storie di disagio non
potevo non essere amante del racconto, tantomeno di quello di Trevor. Che ti
proietta in quattro e quattr’otto in un’Irlanda rurale, la vera Irlanda,
pietrosa e dura, mani callose e screpolate, facce segnate dal vento, situazioni
anacronistiche, ma un calore diffuso che in qualche modo riesce a emergere
sempre.
Ho vissuto un anno a Dublino, e non è stato semplice. Avevo
mitizzato la terra irlandese in maniera sproporzionata, nonostante avessi 21
anni i residui dell’adolescenza erano ancora tangibili, e niente, mi ero
immaginata di vivere tutt’altra esperienza. Forse non sono stata fortunata, ma
ho capito comunque molte cose in più, e ho potuto conoscere un Paese
dall’interno, senza veli e senza affettazioni provocate dal mare che ci divide.
E nei racconti di William Trevor ho ritrovato molte delle sensazioni che ho
provato sull’Isola di Smeraldo. Le tredici storie sono ambientate nell’arco di
diversi anni, e si distinguono tutte l’una dall’altra. Commoventi, crude,
amare. Ho rivisto le campagne o le cittadine che ho conosciuto, e il carattere irish è ben presente, anche se mai
spiattellato in maniera esplicita. Ma si tratta di una caratteristica tale che
risulta assolutamente riconoscibile. Il lavoro di William Trevor è ammirevole,
coinvolgente, profondo. Onesto, soprattutto. La sua scrittura lineare,
tradizionale direi, si legge con calma e pacatezza: mi sono immaginata la sua
voce come quella del narratore di Amélie, una voce fuori campo d’altri tempi
che ti presenta le storie delle vite nei paesini di campagna più dimenticati di
sempre, dove le ragazze sperano di trovare marito in una sala da ballo, o una
famiglia di contadini è sopraffatta da una tragedia inimmaginabile e deve gestire
l’invasione di giornalisti e televisione; ci sono preti che devono fronteggiare
pecore smarrite e figli che devono capire i viaggi a Dublino del proprio padre,
e ancora un breve racconto di formazione tra pancetta sfrigolante e birra scura, una bizzarra luna di miele in un
albergo sperduto, un matrimonio volgare dove si percepisce chiaramente l’odore
di Guinness e di sudore degli uomini irlandesi.
Insomma, un altro volume che mi ha coinvolto e
in cui mi sono persa, e che quindi vi consiglio e per fare saggio di un solido
e ormai raro modo di scrivere, e per fare un viaggio nella vera Irlanda, quella
un po’ meno edulcorata e più terrosa, sincera, sferzata da un passato-disagio
estremo. E anche per guardarsi un po’ dentro, perché è anche questo che fa la
buona letteratura: ti fa avvicinare a parti di te che magari avevi riposto, o
addirittura non avevi mai scandagliato. E quando chiudi le pagine, rimani
qualche secondo sospeso, la mente un po’ frastornata, e dici “e insomma”. E un
po’ sei diverso.
- Paese: Irlanda.
- Prima edizione originale: 1986.
- Data recensione Fofi: 18 luglio 2012.
- Pagine: 270.
- Periodo di lettura: 16-22 gennaio 2014.
- Consigliato: abbestia.
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