giovedì 2 ottobre 2014

Festivaletteratura 2012: cronaca di cinque giorni felici

Premessa 1: il blog ha una nuova veste grafica, e il merito è tutto di quella figa di mia sorella, Barbara, che ringrazio pubblicamente per il tempo  e le energie che mi ha dedicato, dichiarandole tutta la stima e tutto l'ammòre che provo nei suoi confronti. 

Premessa 2: questo post riguarda una cosa vecchia e sarà assai lungo. Finora ho cercato di trattenermi, ma è giusto che si sappia che sono estremamente prolissa quando si tratta di raccontare vicende realmente accadute: quando per la prima volta mi sono avvicinata agli scrittori francesi dell'Ottocento, mi sono sentita meno sola. Se non te ne frega una cippa, oh lettore, sappi che hai tutta la mia comprensione, ma siccome il disagio è in me avevo davvero davvero bisogno di narrare le mirabolanti avventure di Bea e Madre al Festivaletteratura 2012.

Le prove
Non ricordo con esattezza come cavolo mi fosse venuto in mente, proprio quell'anno, di andare al Festival. Non ricordo nemmeno se ne scoprii l'esistenza in quei giorni o se al contrario lo conoscessi da tempo e bramassi di andarci: vuoto totale. Era la fine di un'estate che tutto sommato aveva già dato grandi gioie, ma, evidentemente non paga, mi sono ritrovata davanti al pc a scorrere il programma, e niente, sono impazzita. Nel giro di un giorno coinvolgo Madre (l'unica persona sulla faccia della terra che sarebbe riuscita a sopportarmi nelle mie mire espansionistiche), cerco e trovo grazie ad una botta di culo enorme il B&B perfetto, studio un programma ad hoc spulciando tra gli eventi rimasti disponibili e li prenoto con ardore, ma soprattutto mi faccio dei trip sconvolgenti su googlemaps e tripadvisor, ed individuo e prenoto i ristoranti dove saremmo andate a mangiare, in base alle location e alle distanze tra un evento e l'altro. Una pazza furiosa. Un caso umano. Ma cosa volete farci...

Giungiamo a Mantova il pomeriggio prima dell'inizio del Festival, il 4 settembre. Facciamo un primo giro di ricognizione, ma andiamo a letto presto per essere pronte cariche e scattanti. 
L'indomani, 5 settembre, capiamo quale sarebbe stato il vero leit motiv del Festival: un caldo tropicale. Di buon'ora ritiriamo i nostri biglietti, e poi ce ne andiamo a passeggiare lungo le rive del Mincio, per stare un po' in tranquillità e godere del meraviglioso paesaggio mantovano. Ci immergiamo poi nelle vie di questa cittadina, che iniziano a diventare animate con l'avvicinarsi dell'inizio degli eventi.    

Cartoline di una città in festa


Puntuali ed emozionate, ci rechiamo al Chiostro del Museo Diocesano, dove ci attende l'incontro con lo scrittore kenyota Ngugi wa Thiong'o, che dialogherà con la scrittrice Igiaba Scego. L'occasione è quella di presentare la sua autobiografia Sogni in tempo di guerra (Jacabook, 2012), ma gli spunti che emergeranno coinvolgeranno l'intera questione africana. Una capitolo della Storia che mi ha sempre molto interessata è quello del colonialismo. In questa sede lo scrittore kenyota ha riflettuto su un fatto che condivido molto: spesso si dimentica che il colonialismo ha giocato un ruolo fondamentale nel processo che ha portato alla cosiddetta modernità. E anche quando si legge la letteratura africana ciò non deve passare in secondo piano. Ngugi wa Thiong'o ha ricordato anche che dell'Africa si ha spesso un'immagine distorta: la si pensa sempre come un Paese che ha bisogno d'aiuto, dimenticandosi che lì esiste una civiltà. L'Africa è un continente che ha sempre dato: da qui la necessità di immaginare in modo diverso il rapporto che si ha con essa. Wa Thiong'o ha poi ripercorso la sua iniziazione alla lettura, che ha descritto così: «ero cieco e ora riesco a vedere». È stato un incontro interessante e piacevole, lui è un uomo dolcissimo e profondo, ed io gli ho anche chiesto cosa ne pensasse di Cuore di tenebra, dove anche se Conrad non parla esplicitamente di colonialismo, capiamo che lo condanna, al contrario di quello che pensava lo scrittore africano Achebe. Lui ovviamente ha detto che adora Conrad, ed io l'ho amato ancor di più.

Io e Madre usciamo felici e soddisfatte dal primo incontro, con una copia autografata e le aspettative sull'intero Festival che aumentano ancor di più. Ci andiamo a mangiare una super piadina in un delizioso chioschetto nei pressi di Parco Te, e poi ci mettiamo in fila al Palazzo di San Sebastiano per uno degli incontri da me più attesi: quello con il Premio Nobel irlandese Seamus Heaney, ahimè scomparso il 30 agosto 2013. Ero particolarmente emozionata perché alla tesina della maturità, per inglese, avevo portato proprio una poesia di Heaney, Digging. Mi pareva impossibile poter ascoltare dal vivo un poeta che non solo avevo studiato, ma che avevo anche amato. La cosa che più mi è rimasta di questo incontro è la meraviglia che nasce dall'ascoltare una poesia letta da chi l'ha scritta: capire com'è stata pensata, qual è l'intonazione giusta, ascoltare una piccola introduzione esplicativa. La traduzione poi ti apre altre porte, ed è buffo vedere anche la reazione del poeta stesso alla rilettura in un'altra lingua della propria poesia, vedere che si stupisce e si emoziona per i suoni che vengono evocati. Perché il bello di una poesia è proprio la sua capacità di farti venire la pelle d'oca anche se non ne capisci il significato. Quando poi si parla di un Monumento della Storia della Letteratura, che usa la poesia come «momentanea resistenza all'estinzione»... il mio cuoricino esplode.

Giovedì 6 settembre io e Madre siamo pimpanti e allegre, c'è il sole e la giornata inizia con una vera e propria chicca: alla Casa del MantegnaBruno Gambarotta (che amiamo da tempo immemore) incontra quel gran figo di Jón Kalman Stefánsson, scrittore islandese portato in Italia ovviamente da Iperborea, una delle mie case editrici di culto. Con loro c'è la bravissima traduttrice di Stefánsson, Silvia Cosimini, che per l'occasione farà anche da interprete. L'incontro è stato insieme spassoso ed intenso, era tutto avvolto in una sorta di aurea magica proveniente direttamente dall'Islanda. Amo i paesi nordici e il contatto vero e quotidiano che hanno con la natura, ed insieme con la poesia: l'Islanda è un luogo popolato da spiriti e fantasmi, dunque la poesia stessa è sempre percepibile, tra luci ed ombre. Jón Kalman Stefánsson ha presentato il libro La tristezza degli angeli (Iperborea, 2012), il secondo capitolo della sua trilogia, e ci ha ricordato che scrivere un libro non è solo raccontare una storia, ma anche comunicare qualcosa che resti, che vada al di là, che possa cambiare il mondo.

Dopo un pranzetto in riva al fiume in cui io mi macchio inesorabilmente di olio la maglia, ci rechiamo nel cortile dell'Archivio di Stato di Mantova, dove il critico letterario Nicola Gardini intervista Stephen Greenblatt, studioso e critico statunitense, tra i fondatori dello New Historicism. L'occasione è ghiotta: viene presentato infatti il suo ultimo lavoro, che tratta del ritrovamento del De Rerum Natura di Lucrezio da parte di Poggio Bracciolini. Il libro si intitola Il manoscritto: come la riscoperta di un libro perduto cambiò la storia della cultura europea (Rizzoli, 2012), ed è stato lo spunto per trattare i temi più svariati, dal Rinascimento alla Bellezza, dall'elogio della cultura alla durata dei libri. Dopo questa immersione nel passato, io e Madre ci spostiamo verso il Teatro Ariston: uno dei miei miti indiscussi dell'infanzia, Patrizio Roversi, dialoga con Miriam Toews, per presentare il suo ultimo libro Mi chiamo Irma Voth (Marcos y Marcos, 2012). Miriam Toews è una scrittrice canadese nata e cresciuta nella comunità religiosa dei mennoniti, in Manitoba, ma da cui è fuggita all'età di diciotto anni. I suoi libri parlano sempre di adolescenti e del viaggio come specchio della vita interiore, dell'aspirazione alla libertà, ma anche di follia. La sua è una scrittura molto particolare, non usa punteggiatura e richiama il tono colloquiale senza scadere nella superficialità; è inoltre una persona super bella, di quelle che emanano una luce propria, e Patrizio Roversi è riuscito in pieno nel compito di rendere l'incontro vivace ed interessante. 


La stanchezza comincia a farsi sentire, ma la giornata non è ancora finita: ci rifocilliamo in una trattoria vecchio stile, dove ci facciamo una vera e propria scorpacciata di tigelle, formaggi e salumi... e che diamine! Ristorate e felici, torniamo al Teatro Ariston per l'ultimo evento di questo lungo giovedì: a questo giro è Madre a gioire, perché si parla di gialli scritti ammodo. Luca Corvi incontra Lars Kepler, pseudonimo di Alexander Ahndoril e Alexandra Coelho Ahndoril, marito e moglie svedesi che hanno scoperto che a scrivere insieme (ma separatamente) si divertono abbestia. In Italia sono editi da Longanesi, e pur non essendo il mio genere (troppa efferatezza, troppo sangue, io sono piccola!) è stato un incontro proprio piacevole, tanto che poi quando ho lavorato in biblioteca ho fatto acquistare i loro libri e li ho spacciati a tutti gli amanti del giallo nordico, ottenendo molti consensi (muahah). 

Venerdì 7 settembre, ancora su di giri per l'intensa giornata precedente, ci rechiamo alla Sagrestia di San Barnaba, per assistere al dialogo tra il poeta e critico salentino Antonio Prete e la scrittrice e poetessa Elia Malagò, il tutto accompagnato da intermezzi musicali di un bravissimo violoncellista. È stato un incontro emozionante, un'altra occasione per riflettere sulla poesia, vista da Antonio Prete come luogo del denudamento e dell'esperienza del sé. Egli descrive un mondo naturale che prende vita attraverso la voce narrante, che si riconnette con le proprie radici, con la terra, con gli agenti atmosferici. Elia Malagò è intensa, scorrevole e raffinata, e per un attimo sembra che il mondo esterno non esista più. Bello, bellissimo.


Dopo esserci elevate a livelli superiori, io e Madre torniamo terra terra, e ci andiamo a gustare un super pranzetto in centro. Dobbiamo essere belle cariche perché il primo appuntamento pomeridiano, in Piazza Castello, è niente meno che con Claudio Magris, che ci parlerà di vita e finzione letteraria, rammentandoci che la letteratura, mentre deforma la realtà, ne tira fuori il senso più profondo: «la realtà è un quadro cubista». Cuori, semplicemente cuori. 

Poi ci sono quegli incontri che in qualche modo ti lasciano un segno davvero profondo: sempre in Piazza Castello, è la volta di Toni Morrison, scrittrice statunitense Premio Nobel per la letteratura. Ora. Io confesso che di lei non avevo mai letto niente, ma me ne aveva parlato un sacco la mia amica Carlotta, perciò le aspettative erano altissime. La scrittrice ha dialogato con Peter Florence del suo ultimo romanzo, Home (A casa, Frassinelli, 2012). E ha esordito parlando di... Faulkner. Ciao, proprio. Ha detto che nella sua opera vi è coraggio, bellezza, onestà, mentre Hemingway la fa proprio arrabbiare... Ad un certo punto ho smesso di scrivere sul mio quaderno, concentrandomi solo sulle parole di questa donna, che ti cattura a sé e ti porta dalla sua parte, la parte della Vera Letteratura. Credo che commovente sia l'aggettivo più giusto per descrivere questo incontro, e vedere una folla di persone attente e concentrate ad ascoltare Toni Morrison parlare è stato uno dei momenti più belli del Festival.

Io e Madre iniziamo ad essere un po' provate: ci spariamo un aperitivo con un buon bicchiere di vino bianco ghiacciato, e via, si ritorna per la terza volta in Piazza Castello, che c'è l'incontro con Melania Mazzucco e Giuseppe Antonelli, con letture di Francesca Inaudi. Sarò molto onesta: questo evento l'ho scelto solo perché, appunto, c'era Francesca Inaudi, che è un'attrice che adoro. La presentazione di Limbo (Einaudi, 2012) non mi ha entusiasmata, e credo che prima di leggere la Mazzucco un po' ci metterò, perché nemmeno la lettura coinvolgente di Francesca Inaudi è riuscita a farmi appassionare alla sua scrittura. E va bene.

Il primo incontro di sabato 8 settembre è all'Aula Magna della Fondazione Università di Mantova, dove il fumettista Vittorio Giardino e lo storico Gabriele Ranzato si incontrano per la prima volta, e possono finalmente dialogare dal vivo sul loro principale oggetto di studio, la guerra civile spagnola. Il professor Ranzato è stato un mio docente all'Università di Pisa: un uomo timido e coltissimo, chiaro ed interessante. Ho frequentato con passione le sue lezioni di storia contemporanea, ed è stato bellissimo poterlo ascoltare in un contesto totalmente diverso. Molto avvincente e particolare, in questo incontro, è stato lo scambio di opinioni ed esperienze tra due realtà che si trovano a due estremi opposti, la storia e la narrazione, e ancor più particolare il fatto che in questo caso la narrazione fosse quella del fumetto. 

Il primo pomeriggio ci aspetta uno dei momenti più divertenti del nostro Festival: alla Casa del Mantegna vanno in scena le coincidenze letterarie tra Ernest Van Der Kwast e Mischa Berlinksi, "moderati" da Simonetta Bitasi. Niente appunti a questo giro, perché l'incontro è stato un vero e proprio spasso. Ernest Van Der Kwast (di cui io mi sono anche un po' innamorata, ma questi sono dettagli trascurabili) è uno scrittore olandese di origine indiana, autore di Mama Tandoori (IBS, 2011), un vero e proprio caso letterario, che "parla di una mamma che per fortuna non è la vostra". Mischa Berlinski è invece uno scrittore americano, e nel suo libro d'esordio Ricerca sul campo (Fieldwork, gran vía, 2011), ci porta in una Thailandia piena di misteri ed oblii. Ci hanno regalato un pomeriggio davvero godibile, alla scoperta di gggiovani talenti ed esperienze di vita vissuta.

Ecco che poi, finalmente, arriva il mio vero momento clou... rullo di tamburi, cuore che palpita, ansia ed agitazione, emozione infinita per... l'incontro con Bianca Pitzorno. Ebbene sì. Il Palazzo della Dogana ha fatto da cornice al momento che non mi sarei mai sognata di vivere. Oh insomma, è stata colei che mi ha iniziata alla lettura, perdindirindina! Quindi dirò solo che sono stata tanto, tanto felice. L'occasione era quella di parlare del proprio luogo del cuore, un'iniziativa di Festivaletteratura in collaborazione con il Fai, per ricordare le meraviglie meno conosciute del territorio italiano insieme a Silvio Perrella. Bianca Pitzorno ci ha raccontato della ex-cattedrale di Ottana, in provincia di Nuoro. Ed io non ho smesso un attimo di sorridere. 

Dopo l'ultima cena mantovana, io e Madre torniamo in Piazza Castello per assistere all'ultimo evento della giornata, Un racconto di favole amare di Ascanio Celestini. Poi, stremate, torniamo nel nostro adorato B&B, e la nostalgia da fine Festival inizia già a farsi sentire...


Ed eccoci arrivati all'ultimo giorno, domenica 8 settembre. Ci rilassiamo ascoltando in Piazza Castello quel buon uomo di Carlo Lucarelli, che con Luigi Caracciolo ci racconta del suo "maestro del giallo", Giorgio Scerbanenco. Un evento davvero carino e nonostante sia scontato ci ha fatto "Paura eh?" e io gli ho voluto davvero bene. L'ultimo, ultimissimo evento a cui assistiamo è l'incontro tra lo scrittore francese Pierre Bayard e l'adorato Piero Dorfles. Ora, io Pierre Bayard non l'ho capito fino in fondo, un po' troppo metaletterario per i miei gusti, però Piero Dorfles dovevo assolutamente vederlo, e non mi ha affatto delusa. 

Il bottino

Bene. Che sarebbe stata una lettura impegnativa vi avevo avvertito. Ma come ho detto nel titolo, sono stati cinque giorni felici, e come tali andavano condivisi. Dedico ovviamente questo post a Madre, che è stata una compagna di avventure fantastica e che ha sopportato e supportato il mio nerdismo letterario. 




B. 
                     

4 commenti:

  1. Che bello questo resoconto letterario mantovano, anche se un po’ datato non importa. L'ho trovato interessante e frizzante nello stesso tempo :-) Non ho mai letto nulla di Séamus Heaney, però mi hai incuriosita… dovrò procurarmi al più presto un suo libro di poesie.

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  2. Uhhhh ma grazie cara! Scrivere questo post è stata anche l'occasione per tirare fuori libri rimasti ancora da leggere, eheh! E sì, Heaney è proprio uno giusto, te lo consiglio davvero!

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. I festival sono così, vorresti sempre avere il dono dell'ubiquità! :D Allora abbiamo proprio gusti simili!

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