sabato 13 dicembre 2014

#Piùlibri14 - Il mercato del libro e l'incontro con gli editori

La Fiera dicembrina al Palazzo dei Congressi dell'Eur, quest'anno, deve aver portato un po' sfiga. Faccio questa affermazione perché nella settimana che si sta concludendo, settimana ancora in cui gli editori fanno bilanci, di fine fiera e di fine anno, stanno giungendo notizie di disagio profondo: case editrici storiche come :due punti ed edizioni di passaggio fermano la loro produzione, mentre Carocci inizia a licenziare in massa. Lo sconforto è grande, ma in realtà non sono molto stupita, dopo che il 4 dicembre, a Più Libri, ho partecipato alla conferenza sul Mercato del Libro. Una tappa obbligatoria per capire l'andamento delle vendite della piccola e media editoria, dati Nielsen alla mano. Che ovviamente non sono incoraggianti. Stiamo attraversando un momento difficile, e questo ci viene ricordato da più fonti. Tutte le indagini rilevano infatti che il clima percepito dalla popolazione italiana non è positivo. Per quanto riguarda l'editoria: 
"è un segno meno per i piccoli editori nei primi dieci mesi del 2014, con performance sostanzialmente in linea con il resto del mercato. I piccoli editori registrano un calo a copie vendute del -3,4%. Va meglio il valore del venduto: - 2,5%".
Esiste però "una punta di diamante innovativa e attenta in grado di segnare il mercato nel suo complesso", perché è stato riferito che questo andamento, se ricondotto solamente a quegli editori presenti in Fiera, sarebbe di molto cambiato, con un segno più, timido, comunque positivo. Subito dopo però altro dato sconfortante: un bel -4,6% sul trend complessivo del mercato (il Natale è ovviamente escluso da queste statistiche, e si spera che come ogni anno contribuirà a dare un po' di respiro). Mi guardo intorno e vedo diversi tipi di facce: volti impassibili, volti coperti da i-pad che immortalano le slide, volti segnati dal dolore, volti in cui si legge la voglia di non mollare. La frase che sento di più è che non viene detto niente che già non si sapesse. C'è stata una timida ripresa estiva, i "piccoli" sono in linea con gli andamenti del mercato, e i libri per bambini e ragazzi registrano una crescita positiva da tre anni a questa parte. Su questo però non bisogna lasciarsi andare ai facili entusiasmi perché, come fa giustamente notare qualcuno, si debbono escludere i vari best-seller e i libri-giocattolo, e porsi quindi qualche domanda in più per analizzare questa situazione in controtendenza, perché alla fine i libri per bambini vengono comprati da quegli stessi adulti che poi non comprano i libri per se stessi. 
Prende poi la parola Alice Di Stefano, editor di Fazi editore, che commenta i dati numerici dicendo che l'editoria deve orientarsi (e lo sta facendo) sempre di più verso la qualità, e per quanto riguarda il piano culturale, e per ciò che concerne la cura dell'oggetto libro. Si augura una tendenza sempre maggiore a pubblicare meno libri, ma con più cura. I dati in questo senso rispecchiano qualcosa di positivo, confermando la fine del fenomeno del libro low-cost che aveva impazzato qualche anno fa destabilizzando il mercato. Certo, i libri possono costare meno, la cosa sbagliata è la super-produzione. Forse si potrà ricominciare a influenzare i lettori anche culturalmente, con scelte forti e ragionate. 
Interviene infine il presidente dell'AIE (Associazione Italiana Editori) Marco Polillo, che cerca di riflettere su ciò che porta via spazio alla lettura: non può essere, dice, solamente il gioco del solitario sul tablet, bensì un impoverimento della società, una nuova trascuratezza intrinseca anche nei confronti della lingua italiana, che oggi manca dei generi dei prima necessità. L'errore è pensare che certe cose non servano più. Quale sarà allora il futuro del libro: Forse perderemo ancora qualcosa, ma il travaso tra cartaceo e digitale non segnerà un abbandono: molte persone si avvicinano ad un libro attraverso il digitale, e poi si vanno a comprare una copia cartacea. Vi è una situazione affettiva ancora molto forte per il mondo che si crea intorno alla parola scritta.

giovedì 11 dicembre 2014

#Piùlibri14 - 4 dicembre: Paolo Nori e Zerocalcare

Sono indietro. Sono estremamente indietro. Ma l'influenza mi ha destabilizzata, ha corrotto il mio corpo, ottenebrato la mia mente. Insomma, non ce stavo a capì una mazza in questi gggiorni (per riprendere il clima romano in cui sono stata immersa la scorsa settimana). Però adesso credo di essere nuovamente in grado di intendere e di volere, perciò ecco a voi il racconto di due incontri meravigliosi a cui ho partecipato giovedì 4 dicembre, primo giorno di Fiera.

Alle 17.00, in Sala Rubino, c'era niente meno che Paolo Nori, che avrebbe letto alcuni brani del suo ultimo romanzo, Siamo buoni se siamo buoni (Marcos y Marcos, 2014). Avevo ascoltato la sua presentazione a Fahrenheit il 9 ottobre, e me ne ero innamorata: sono davvero corsa in libreria ad acquistarlo. Poi ho letto anche questa recensione di Little Miss Book, e ancora la voglia di leggerlo è salita alle stelle. Il mio disagio però non mi permette ancora di farlo, devo finire il Progetto di Lettura...! Ma sarà sicuramente uno dei primi libri che divorerò non appena finito il periodo autistico. In ogni caso, non potevo assolutamente perdermi il reading live fatto dall'autore. 

domenica 7 dicembre 2014

#Piùlibri14 - 4 dicembre: la prima giornata di #BlogNotes!

Ancora non mi sembra vero: il gran giorno è finalmente arrivato, la pioggia ancora no, il freddo neppure. Ho dormito poco, troppa ansia, troppa adrenalina. Mi sveglio un po' intontita, entro nella cucina del B&B e faccio la scoperta del secolo: gli altri ospiti del meraviglioso Romano sono i quattro ragazzi che gestiscono gli account social della fiera, e che si occupano delle riprese e dello streaming degli eventi... maddavvero?!? Gioia a livelli cosmici, non riesco a smettere di dire "no, ma è pazzesco"! Così la giornata parte davvero con il piede giusto. Siamo tutti in ritardissimo (a parte Simone, che dopo una bella corsetta si è già avviato verso il Palazzo dei Congressi), e così Romano ci dà uno strappo in macchina. Mi sembra di essere in gita, con tanto di foto di gruppo una volta giunti a destinazione! Saluto i ragazzi di zampe diverse e mi avvio con aria festante alle casse. Stento a crederci, ma la fila che devo fare è quella della Stampa. Ho il pass. Ci sto dentro debbbbrutto. Sono così felice! 




martedì 2 dicembre 2014

Più Libri Più Liberi 2014 e #BlogNotes!

L'unica cosa a cui riesco a pensare per introdurre questo post è una delle Frasi Più Belle della Storia: "fenomenali poteri cosmici... in un minuscolo spazio vitale". Il minuscolo spazio vitale in questione è questo mio piccolo blog appena nato, piccino, è ancora un poppante. I fenomenali poteri cosmici sono invece, innanzitutto, i libri; e poi la voglia di fare, e l'entusiasmo, e la condivisione. Appena finito il Pisa Book Festival ho immediatamente prenotato treno e alloggio per Roma: dal 4 all'8 dicembre, infatti, si terrà al Palazzo dei Congressi dell'Eur una piccola grande festa dell'Editoria Indipendente, quella di Più Libri Più Liberi, a cui non ho ancora mai partecipato. E mai mi sarei aspettata di arrivarci da semi-addetta ai lavori. Quando Marco Cassini mi ha chiesto di partecipare al meraviglioso progetto ideato da Laura Ganzetti de Il tè tostato, quasi non ci credevo. Quale gioia, quale onore, quale emozione! E così eccomi a presentarvi Blog Notes, cronache dall'editoria in fiera.

Grazie a Barbara per le foto!


domenica 30 novembre 2014

Paolo Cognetti, A pesca nelle pozze più profonde: presentazione a Tra le Righe, Pisa.

Ed ecco svelato il mistero. L'attesissimo evento di giovedì 27 novembre era la presentazione dell'ultimo libro di Paolo Cognetti, A pesca nelle pozze più profonde [minimum fax, 2014]. 
Facciamo, come al solito, le doverose premesse. Ho conosciuto Cognetti ovviamente grazie a Goffredo Fofi: Sofia si veste sempre di nero [minimum fax, 2012] fa infatti parte del Progetto di Lettura. Acquistato al Pisa Book Festival 2013, acquistato nuovamente per regalarlo alla mia amica Silvia per Natale, finalmente è arrivato il suo turno, e questo mese mi ha accompagnata in ospedale e in giro per il mondo. Un giorno ne pubblicherò la recensione, per ora vi basti sapere che ho letteralmente adorato questo romanzo scritto sotto forma di racconti, e di ciò mi continuavo a stupire ogni volta che cambiavo pagina, impaurita come al solito dalla narrativa italiana contemporanea... e invece no, Sofia è un libro meraviglioso. Immaginate quindi il mio entusiasmo quando ho scoperto che non solo a Pisa, ma pure in una delle mie librerie preferite, Paolo Cognetti avrebbe presentato la sua ultima opera! Ho smaniato per una settimana intera, e alla fine il momento è arrivato. Con la mia amica Erika siamo giunte in libreria con tipo tre quarti d'ora d'anticipo: una groupie che si rispetti deve fare per bene il suo lavoro! E così vi è stata anche l'occasione per vivere un momento della serie "le mirabolanti avventure di Bea": sono stata incaricata di andare a recuperare Cognetti al parcheggio, dove sono corsa festante ed emozionata; lo riconosco addirittura mentre era ancora in macchina: urlo senza troppi complimenti "Paolo!", mi improvviso parcheggiatrice abusiva, ci presentiamo, faccio le feste al suo bellissimissimo cane Lucky (sì lo so dovrebbe essere il contrario, cosa volete farci) e lo scorto finalmente a Tra la Righe, come se con me ci fosse un vecchio amico a cui mostro la città dove ho studiato. Tra un "questa è Lettere!", "ecco il mio Baretto del cuore", "questa è la biblioteca di Storia", "ho fatto la tesi su Faulkner", "che caldo porco che fa". Povero Paolo. Ci credo che vive sei mesi all'anno in una baita in montagna! Chiedo umilmente perdono per il disagio a cui lo ho sottoposto, ma non riesco a contenere l'entusiasmo. 



sabato 29 novembre 2014

In giro per Pisa: i migliori luoghi dove andare in cerca di libri.

Giovedì 27 novembre è apparso su La Repubblica Firenze un interessante articolo di Fulvio Paloscia, che si è interrogato sulle nuove aperture di librerie nel capoluogo toscano. "Diversificarsi nei contenuti e nell'ubicazione è la password per il tempo che verrà, ed è valido sia per le librerie di catena che per quelle indipendenti". Proprio quel giorno avevo deciso di farmi un giretto nell'adorata Pisa, in occasione di un attesissimo incontro di cui vi parlerò presto... Ho colto la palla al balzo, mi sono sbafata un meraviglioso panino de Il Crudo, accompagnato da un bicchiere di vino bianco ghiacciato (per festeggiare delle belle novità che tra un pochino potrete vedere...), e poi me ne sono andata bella bella a zonzo per le vie pisane, con l'obiettivo di raccontare I migliori luoghi di Pisa dove andare in cerca di (bei) libri.

Andando verso Corso Italia, ©TheBuzzingPage


giovedì 27 novembre 2014

Daniel Krupa, Serpenti

La doverosa premessa (tantantan)

Con il post di oggi inizia la mia avventura delle "Recensioni indipendenti". Ci sono le case editrici indipendenti, le librerie indipendenti, i negozi di dischi indipendenti, i caffè indipendenti, e quindi io ho deciso che anche le mie recensioni si blasoneranno di tale definizione. Quindi: parallelamente al Progetto di Lettura, sto leggendo dei libri che mi sono stati o gentilmente inviati/consegnati spontaneamente da Case Editrici, o che a seguito di segnalazione ho richiesto personalmente. Lo faccio con tutta l'onestà intellettuale possibile, per puro e semplice amore per la lettura e per la soddisfazione che questo mio piccolo progetto mi sta dando ogni giorno di più. Credo non ci sia molto altro da dire. Io ho messo le mani avanti (e il naso tra le pagine), *sapevatelo!

martedì 25 novembre 2014

Le gioie di Bea: la biblioteca, la pioggia, i libri e le anziane.

Dopo una settimana che definire intensa sarebbe un eufemismo, e dopo un lunedì di trapasso, stamattina sono tornata al sicuro della Mia Biblioteca. Dove però sono successi fatti incresciosi, di cui avremo modo di parlare prossimamente. Chiacchierando con gli amici bibliotecari, scopro che nel pomeriggio ci sarebbe stato un gruppo di lettura, coordinato niente meno che da Filiberto Segatto, mio professore di Lettere al liceo. Ma che bello! Poi però capisco che il libro di cui si sarebbe discusso era Accabbadora di Michela Murgia [Einaudi, 2009 - Vincitore Premio Campiello Letteratura 2010]. Panicopaura. Entro nel mode impopolarità abbestia, e dichiaro ufficialmente tutto il disagio che quattro anni fa provai a leggere tale libro. 

sabato 22 novembre 2014

6. Arno Camenisch, Dietro la stazione

Dopo una veloce, rilassante (...), letteralmente buzzing ma soprattutto mega diabetica (metaforicamente e fisicamente parlando) tappa londinese, eccomi di nuovo sul pezzo. L'occasione è quella di parlare di un librino che ho a dir poco adorato, Dietro la stazione di Arno Camenisch. La recensione di Fofi rende merito all'editore Keller per scovare tali gioiellini, ed io non posso che essere d'accordo, a fronte soprattutto della meravigliosa chiacchierata con Roberto Keller al Pisa Book Festival (che potete leggere qui). 
Dietro la stazione è un libriccino da leggere tutto d'un fiato, e che sin dalle prime righe ti catapulta in un mondo completamente altro, dove però, allo stesso tempo, ogni cosa sa di intimo e di familiare. Si ha come l'impressione, infatti, che sia un libro le cui pagine potrebbero essere infinite: vi si narrano le storie di un paesino di 40 abitanti nel cantone dei Grigioni dal punto di vista di un bambino (di cui non sappiamo né il nome né l'età), e veniamo a conoscenza di un universo costellato da piccole cose, semplici ma straordinarie. Si sospira con l'alternarsi delle stagioni, si fa amicizia con gli strambi individui del villaggio, si sorride per le nuove scoperte dei bambini e per le loro avventure, si assapora la saggezza degli anziani, si corre per i prati, si guarda il cielo terso della montagna.  E già qui ciao, ma c'è anche di più: perché Arno Camenisch scrive in una lingua meravigliosa, un misto tra tedesco e romancio che la traduttrice Roberta Gado ha reso magistralmente. Si tratta di un parlato davvero buffo, credo però che il senso sia quello della ricerca di una mimesi il più possibile aderente alla realtà che lo scrittore ha voluto raccontare.  Insomma, come scrive Fofi, un gioiello da far scoprire e da condividere; aggiungo che personalmente trovo sia un libro perfetto per l'autunno/inverno, a partire dalla meravigliosa copertina. E poi quando si tratta di dialetti e montagna, con me si è fatto proprio centro.

Il 26 settembre poi stavo guidando, in una rara e fredda giornata di sole, verso la biblioteca dove ho svolto il tirocinio post-laurea; ero felice come non mi capitava di esserlo da tanto tempo, accendo la radio su Fahrenheit e sento Loredana Lipperini che intervista Arno Camenisch a proposito del suo ultimo libro, Ultima sera. Parlano anche di Dietro la stazione, dei personaggi che lo abitano, e non lo so, mi vengono i brividi dall'emozione, e divento ancora più felice. Così al Pisa Book mi sono ovviamente comprata l'ultimo capitolo su questo paesino incantato, e non vedo l'ora di leggermelo.




In sintesi:

  • Paese: Svizzera.
  • Prima edizione originale: 2010.
  • Data recensione Fofi: 9 maggio 2013. 
  • Pagine: 107.
  • Periodo di lettura: 2-3 gennaio 2014.
  • Consigliato: abbestia
B.     

domenica 16 novembre 2014

#Pbf2014 - Il momento Winnie The Pooh

Ed eccoci qui. Una settimana esatta è passata dalla fine del Pisa Book Festival, sono riuscita contro ogni previsione a raccontare tutto (ma proprio tutto tutto), e quindi mi concedo questo post per tirare un po' di somme. 


Innanzitutto, la critica costruttiva. Sono una persona molto esigente, che ama l'organizzazione e le cose fatte ammodino. Ho trovato il Pisa Book molto cresciuto rispetto alle edizioni passate, la qualità degli eventi è finalmente all'altezza della terza fiera del libro più importante d'Italia, e di ciò sono solamente felice. Credo però che vi siano ancora dei punti sui quali si possa lavorare, per rendere questo festival ancora più figo. La prima cosa a cui penso è che mi piacerebbe che ci fosse un coinvolgimento maggiore della città tutta: tre giorni relegati al Palazzo dei Congressi risultano essere un po' alienanti, quando invece Pisa sarebbe perfetta per accogliere un evento di tale portata. Alla fine lo si è fatto per l'Internet Festival, non vedo perché non lo si possa fare anche per il Pisa Book. Una città universitaria punto di riferimento per tutta Italia non farebbe altro che trarre vantaggio da un'estensione del festival agli spazi cittadini, ci sono a disposizione aule magne recentemente ristrutturate, chiostri, chiese sconsacrate, giardini, piazze. Penso a Mantova, penso a Pordenone, al fuori salone di Torino, al BookCity di Milano che si è concluso proprio oggi, e voglio pensare che prima o poi i libri riusciranno a conquistare anche l'amata Pisa, coinvolgendo anche le belle librerie e le biblioteche, universitarie e non. DAJE!
Altro appunto che mi sento di fare è un po' più generale e riguarda il programma degli eventi. Tanti, forse troppi, uno dietro l'altro, con la conseguenza che spesso il ritardo di uno inficiava il tempo a disposizione dell'altro. I cambi di programma poi possono accadere, ma avrei fatto un po' più di attenzione nel comunicare le discrepanze tra programma su internet e programma cartaceo. Su quest'ultimo, una maggiore attenzione ai refusi sarebbe stata assai gradita... ma io sono una rompipalle, l'avevo premesso. Infine, la tanto temuta presenza dell'Ikea: devo dire che lo spazio a loro dedicato è stato piccolino e discreto, il loro stand era al piano di sopra e in fondo in fondo, io ci sono arrivata solo l'ultimo giorno: ho scroccato biscotti allo zenzero senza dignità alcuna, mi sono scolata un bicchiere di vino speziato caldo, accomodata in poltrona tra morbidi cuscini e alla fine ho fatto pure l'Ikea Family, tanto per gradire. Quindi, da questo punto di vista, benebraviciao.



sabato 15 novembre 2014

#Pbf2014 - 9 novembre: l'omaggio a Franco Ferrucci dei librai indipendenti e intervista a Marco Zapparoli

Ed eccoci arrivati all'ultima cronaca del mio Pisa Book Festival: l'omaggio a Franco Ferrucci, libraio (La Gaia Scienza) ed editore (Erasmo edizioni) livornese, tra i fondatori del Premio Montescudaio per i librai indipendenti, scomparso prematuramente nel luglio di quest'anno. In Sala Fermi si ritrovano Monica Bellomini Genovesi, la libraia più amata di Pisa, della libreria Fogola in Corso Italia; Tamara Guazzini, una delle undici libraie della Rinascita di Empoli; Andrea Geloni, della libreria Nina di Pietrasanta; uno scoppiettante Marco Zapparoli, editore di Marcos y Marcos, e Lucia Della Porta, direttrice del Festival, in un appuntamento rinnovabile, un incontro del cuore, legato alle esperienze di undici librerie italiane che sono un esempio concreto di come si fa libreria oggi. Queste storie sono raccontate ne La voce dei libri (Marcos y Marcos, 2014), volume a cura di Matteo Eremo. Qui al Festival ciò che si vuole fare è ricordare Franco Ferrucci, che Zapparoli definisce un nuotatore: una persona che andava avanti, senza dare nell'occhio, ma con la grande capacità di coinvolgere le persone. Ferrucci ha dato una mano, un orecchio, un occhio a mezza Livorno, era un punto di riferimento per tutto ciò che riguardasse il libro. Le librerie infatti non sono soltanto dei luoghi dove stanno i libri; sono soprattutto luoghi dove ci sono persone. In libreria si ha la possibilità di sfogliare il mondo, aprire i libri ed aprirsi alle persone: è un diritto anche quello di chiedere le coccole al libraio. Non è possibile rinunciare a tutto ciò, continua Zapparoli, perché la libreria è l'unico luogo laico dove si possa stare senza comprare assolutamente niente, ma da cui si esce sempre con qualcosa in più. Franco Ferrucci era un maestro nel sostenere gli altri, e i librai de La voce dei libri hanno accolto la sua lezione.

venerdì 14 novembre 2014

#Pbf2014 - 9 novembre: intervista a Morten Søndergaard e tavola rotonda sulla traduzione della poesia

Lo confesso: prima di domenica conoscevo Del Vecchio Editore solo di nome, ma non di fatto. Una mancanza imperdonabile. Una caduta di stile clamorosa. Ma come ho già avuto modo di dire altre volte, questo blog mi sta dando una grande mano a colmare un sacco di lacune, e quindi dai, c'è speranza. Ho incontrato Pietro Del Vecchio mentre stava parlando con Anna Basile, redattrice di Iperborea, a proposito della cena con gli scrittori del sabato sera nella ridente Pisa; mi sono elegantemente inserita nella loro conversazione (...) suggerendo un paio di ristorantini, e la domenica sono andata appunto allo stand di Del Vecchio per sincerarmi della riuscita della serata. Oh, Bea. La cena era andata bene, io ho tirato un sospiro di sollievo e ne ho approfittato per fare due chiacchiere con l'editore



giovedì 13 novembre 2014

#Pbf2014 - 9 novembre: ancora incontri con gli editori!

Ed eccoci già arrivati all'ultima giornata del Pisa Book Festival. Cerco di scacciare la nostalgia preventiva che sempre mi colpisce prima che le cose finiscano, e mi godo la meravigliosa colazione preparatami da Erika, l’ospite migliore che potevo desiderare per la mia tre giorni di immersione totale. E poi esco, e c’è un sole pazzesco, un sole bello che mi accompagna fino al Palazzo dei Congressi. Saluto l’Arno ed eccomi, sono pronta! Inizia la giostra, tutti su! 



mercoledì 12 novembre 2014

#Pbf2014 - 8 novembre: Elena Stancanelli, Massimo Loche, Morten Brask

Ed eccoci all'attesissimo momento (...) della cronaca degli incontri a cui ho assistito sabato 8 novembre, tra un'intervista e l'altra (non mi sto affatto dando un tono!). Nell'ordine: 
  1. Ore 12.00, Repubblica CaffèFIGURACCE (Einaudi, 2014): Laura Montanari e Fabio Galati intervistano l'autrice Elena Stancanelli.  
  2. Ore 14.00, Book Club. PER VIE DI TERRA: In treno da Hanoi a Mosca (Voland Edizioni, 2014): ricordi di viaggio di un inviato speciale attraverso la Cina di Mao e l'Unione Sovietica di Brezhnev. Massimo Loche, giornalista e nel 1974 corrispondente de L'Unità in Vietnam, in conversazione con Ezio Menzione, avvocato e viaggiatore. 
  3. Ore 15.00, Book Club. LA VITA PERFETTA DI WILLIAM SIDIS (Iperborea, 2014): La storia di un bambino prodigio, con il quoziente d'intelligenza più alto mai misurato, una delle menti più eccelse mai esistite. L'autore Morten Brask ne parla con Bruno Berni


martedì 11 novembre 2014

#Pbf2014 - 8 novembre: intervista a Flavia Cristina Simonelli e presentazione di "Assenza"

Questo post è dedicato a come si è conclusa la mia seconda giornata al Pisa Book Festival, ovvero con l'intervista alla scrittrice italo-brasiliana Flavia Cristina Simonelli ed il successivo incontro con Julio  Monteiro Martins.

La giornata sta ormai volgendo al termine: dopo l'intervista a Francesco Targhetta, ci sono stati mmmmille incontri di cui non vedo l'ora di parlare. Ma questa è una storia che merita un post a sé, e quindi ora ve la racconto. Il venerdì, dopo un secondo dal mio ingresso al Palazzo dei Congressi, ero già carica di roba come un asinello, e l'idea dello zaino non era stata esattamente brillante. Faccio così un giro tra gli stand in cerca di una borsa di tela, e rimango colpita da quella di Vittoria Iguazu Editora



Così mi presento a Riccardo Greco esordendo con: "avete le borse di tela: avete vinto". Solo io. In questo modo però iniziamo a chiacchierare, e mi faccio presentare questa realtà editoriale a me totalmente sconosciuta, ma che mi affascina e rapisce in tempo cinque minuti. Riccardo mi dice che l'indomani ci sarebbe stata la presentazione del libro di una scrittrice italo-brasiliana, e mi convince a parteciparvi, eliminando in men che non si dica un altro evento a cui avevo pensato di andare: bel lavoro! Il sabato, tra un incontro e l'altro, sono ripassata dal suo stand perché gli volevo fare qualche domanda prima della presentazione: lo vedo parlare con una donna bellissima, e mi dice: ma perché invece non intervisti Flavia, la scrittrice? Prima mi sciolgo, poi mi ripiglio e su di giri la rapisco per portarla fuori, in modo da poter conversare come si deve.

#Pbf2014 - 8 novembre: intervista a Francesco Targhetta

Questo post è dedicato a come è iniziata la mia seconda giornata al Pisa Book Festival, ovvero con l'intervista al vincitore del Premio Ciampi-Valigie Rosse 2014, Francesco Targhetta (sì, lo ho intervistato proprio io, io! Muahahahah). 

Intanto mi sveglio dopo ben quattro ore di sonno, faccio colazione parlando di libri (curioso) con uno sconosciuto ma delizioso inquilino della casa dove sono ospite, mi preparo e mi butto fuori casa: c'è un accenno di solicino, evviva! Mi sparo a manetta il Cd Tamarro Autunno 2014 (il tesoro mio e di mia sorella) e mi precipito verso il Palazzo dei Congressi, dove praticamente mi catapulto allo stand di Valigie Rosse (ne ho parlato qui!), getto le mie cose per terra, mi lascio cadere sulla sedia e mi preparo alla chiacchierata con Francesco Targhetta. Devo avergli fatto un'ottima prima impressione (...). Praticamente Francesco Targhetta è il mio opposto: una persona posata, seria, calma e pacifica. Devo essergli sembrata un po' pazza (per non dire scoppiata), ma nonostante ciò si è subito instaurato un bel feeling, e se non avessi avuto altri ottomila incontri sarei stata tutto il giorno a chiacchierare con lui. 
Innanzitutto i "cenni storici". Francesco Targhetta, classe 1980, nasce a Treviso dove tutt'ora vive, studia Lettere a Padova e vi svolge il dottorato in italianistica, e per non farsi mancare niente vince pure un'assegno di ricerca sulla poesia simbolista italiana. Ha scritto due cose importanti: una raccolta di poesie, Fiaschi [ExCogita, 2009] e un fighissimo romanzo in versi, Perciò veniamo bene nelle fotografie [Isbn, 2012]. Adesso, come si legge sulla sua presentazione nella raccolta di poesie Le cose sono due, "è andato in loop e ha ricominciato a insegnare". 
Io mi presento a lui come totale capra, e gli chiedo quindi di farsi conoscere. Che approccio professionale, Bea! Francesco però è stranamente a suo agio, e inizia a raccontarmi di cosa pensa del panorama poetico editoriale italiano, ovvero che è in crisi. Taaaaac! Questo perché secondo lui, la poesia (che già di per sé non è che venda poi tanto) avrebbe bisogno di una certa cura e dedizione da parte degli editori; invece succede che viene pubblicato solamente chi è già conosciuto, delegittimando la poesia stessa. Il lavoro di Valigie Rosse è dunque di grande valore, perché parte dal principio di pubblicare solo due poeti all'anno, svolgendo un lavoro artigianale, umano, non da poco, e che fa la differenzaLa poesia è la forma in cui gli viene spontaneo esprimersi da quando, in terza media, ha cominciato a leggere le poesie di Gozzano e Corazzini (e qui mi sono dovuta trattenere tantissimo per non saltargli addosso ed abbracciarlo, perché via, i Crepuscolari, io li ho sempre amati fino alla commozione). Proprio per questo motivo ha scritto un romanzo in versi, con la prosa deve ancora fare pace.      


Dopo queste premesse io gli voglio già bene, e gli chiedo di raccontarmi della sua raccolta di poesie, perché desidero subito arrivare al punto e conoscere il suo mondo. I testi di Le cose sono due sono stati scritti dal 2009 al 2014, e solo quando Valigie Rosse lo ha contattato per il Premio Ciampi Francesco Targhetta ha cominciato a riguardarle e a dar loro la forma ideale. Il punto di contatto è dato proprio dall'entusiasmo intrecciato al "timore" di dare vita ad un libro "corto", ad una silloge. Non è stato facile creare una struttura per le sue poesie, perché era solito lavorare senza limiti di lunghezza. Le sue erano vere e proprie rime sparse, e ha dovuto anche escludere testi magari meglio riusciti, ma meno centrati con il tema che aveva deciso di dare alla raccolta.   
La prima cosa che immediatamente colpisce, però, è la copertina del libro, in cui campeggiano i negativi di una lampadina; la cosa buffissima è che il padre di Francesco era operaio in una fabbrica di lampadine, e quando la casa editrice gli ha proposto i vecchi lampadari come tema per le immagini, ci dev'essere stata una reazione tipo "pppaah, allucinazione immensa!" (magari un po' più elegante, questa sarebbe stata la mia di reazione). In ogni caso ne è stato molto felice, proprio perché i temi principali della sua raccolta sono il vecchio, la chiusura, l'isolamento, la solitudine, ben rappresentati dai vecchi lampadari delle nonne. La sua antologia si divide in due sezioni (da qui il senso del titolo): la prima è composta da sedici poesie, il cui tono prevalente è quello della solitudine, trattato in maniera più lirica, mentre la seconda parte, più narrativa, racconta piccole storie e affronta i temi della vecchiaia e della morte.
Io rispetto alla seconda parte mi sento un filo più vicino alla prima, e così gli chiedo di approfondire il tema della solitudine: mi dice che è trattato in modo in generale e che, appunto, come racconta in una poesia, le cose sono due: la sporadica botta di lucidità che ti arriva quando resti da solo con te stesso, e la tortura di pensieri che ingarbugliano la mente. Francesco Targhetta ha in sé entrambi i tipi di solitudine, quella necessaria e quella che invece finisce di essere un peso a livello sociale. Riflette molto sul senso di comunità che la società di oggi sembra aver smarrito, rincorrendo una sorta di egocentrismo sociale che è come un cane che si morde la coda. 
Ritorno allora alla socialità bisbocciona, e gli chiedo com'è andata la premiazione al Nuovo Teatro delle Commedie di Livorno. Francesco mi confessa che è stato per lui molto emozionante l'abbinamento con la musica, e di grande impatto è stata soprattutto Tu no di Piero Ciampi. Aveva già avuto occasione di fare molte presentazioni con il romanzo in versi, ma per lui sono sempre momenti davvero emozionanti, perché si tratta di qualcosa di molto personale (io qui ho gli occhi a cuore). 
Per concludere la nostra intervista, mi do un tono e gli chiedo quali sono i suoi progetti per il futuro. C'è un romanzo nell'aria, ma sta facendo ancora un lavoro di perlustrazione: Francesco Targhetta ha bisogno di tempo, necessita di lentezza e che niente diventi forzato. Mi sembra una posizione meravigliosa, nonostante ciò non vedo l'ora di scoprire cosa ne verrà fuori. Perché mi sono presa mezz'oretta e ho letto le sue poesie, stampate sulla stupenda carta usata da Valigie Rosse, e boh, con l'aria fresca di novembre, la luce fioca, ancora un po' di mente annebbiata post Pisa Book... le sue parole mi hanno portata in un mondo piccolino, malinconico, sommesso ma estremamente vivo, un quotidiano che ti permette di farti domande e questa, come ben sapete, è una delle cose più grandi che secondo me la Letteratura è in grado di offrirti. 

Il mio consiglio è quindi di procurarvi al più presto una copia di Le cose sono due: non c'è stagione migliore dell'autunno per dedicarsi alla sua lettura. 
Ringrazio proprio tanto Silvia Bellucci che mi ha permesso di fare quest'intervista, e soprattutto Francesco Targhetta, che mi ha donato esattamente ciò di cui avevo bisogno. 

B.

lunedì 10 novembre 2014

#Pbf2014 - 7 novembre: Björn Larsson con Franco Cardini e Dacia Maraini con Joseph Farrell

Dopo aver importunato editori su editori, alle cinque, con fare elegante e disinvolto (...) mi sono recata in Sala Pacinotti per assistere all'incontro tra Björn Larsson e lo storico Franco Cardini. Entro in sala e il disagio è molto forte: l'incontro precedente non è ancora finito! E in più mi accorgo che il programma su internet e il programma cartaceo differiscono: scambi di sale ed orari che hanno destabilizzato un po' le persone. Il mio amico Francesco, che teneva un sacco a questo incontro, non l'ha trovato! E quindi il mio racconto è dedicato soprattutto a lui :-). 
L'occasione dell'incontro era la presentazione del libro illustrato Ivar e Svala: fratelli vichinghi, in cui "il rigore scientifico dell'autore [Franco Cardini] si abbina a sorprendenti illustrazioni curate da maestri delle immagini per bambini: le tavole di Lucio Villani [...] campeggiano in prima pagina, capaci di una forza narrativa pari o superiore a quella dei testi" [La Stampa]. Il volume fa parte della nuovissima e fiammante collana di Laterza Celacanto, creata per raccontare la storia ai ragazzi; avevo seguito con entusiasmo questa importante novità editoriale, e sentirne parlare dal vivo è stato proprio emozionante.
Franco Cardini infatti ha sottolineato la necessità di ricostruire il dialogo verticale tra generazioni: la cultura non è informazione, non è educazione, e nemmeno conoscenza. È invece la capacità di rimettersi in discussione. Così adesso lui lo fa parlando del mare: vorrebbe lasciare da parte autori che ama come Melville o Conrad; potrebbe parlare di Ulisse e mettere il Mediterraneo in primo piano... Gli è stato chiesto di cimentarsi invece con il Mare del Nord e dei Vichinghi, che è un tema oggi di grande attualità. Dopo aver ricordato l'impossibilità di pensare alla nostra cultura senza riferirsi all'acqua, Cardini passa la parola a Larsson, che, sollecitato dal dover scrivere la prefazione sulla letteratura marittima di un'edizione francese di Conrad, ha iniziato una ricerca sul mito del mare come fonte di ispirazione letteraria. Ciò di cui Larsson si stupisce è il fatto che vi siano un sacco di libri sul mare, ma per quanto riguarda la narrativa i nomi sono sempre i soliti: Conrad, appunto, e Melville, e Stevenson. Scrittori che invece si proponevano di raccontare la realtà, come Balzac o Zola, non hanno mai porti o navi nei loro libri: non esiste il proletariato di mare in letteratura (e io invece penso immediatamente ai Malavoglia, che infatti poi Cardini ricorderà). Si parla sempre di Ulisse, poi, come stereotipo del navigatore errante dei mari; ma lui è un soldato! Ha nostalgia di casa, naviga perché vuole tornarvi, non è un marinaio, è un pessimo marinaio! È quindi molto difficile trovare un gran romanzo di mare, come ci sono invece grandi romanzi della terra. Il mare non è luogo di lavoro nell'immaginario degli italiani, ma nemmeno degli stranieri: Maupassant navigava ma non ha mai scritto sul mare, così come Dumas. Rimane dunque un mistero il perché sul mare non esista una grande letteratura (su questo si era interrogata anche la rivista letteraria inglese Granta); una risposta che è stata data è il fatto che i porti siano stati ormai esclusi dalle città, e siano diventati stazioni veloci, puntuali, asettiche.


Franco Cardini riprende la parola, e ricorda il grande viaggio in mare verso l'Asia che Tiziano Terzani ha raccontato in Un indovino mi disse [TEA], ed io penso a quel gran figo di Jón Kalman Stefánsson (di cui ho parlato qui), che in Paradiso e inferno [Ipeborea] racconta una potentissima storia di mare ed amicizia. Insomma, questo incontro ha fatto girare tantissimo la ruota dei cricetini che abitano il mio cervello, e quindi ho annuito e fatto cenni di approvazione e disapprovazione, e sorriso consapevole e incuriosita. Tantissima roba (yo). 

E così, visto che ormai ero a sedere, e la Sala Pacinotti era gremita di persone per l'arrivo dell'Ospite d'Eccezione, sono rimasta a sentire anche un evento che non avevo preso in considerazione, e che invece si è rivelato meraviglioso: l'incontro tra Dacia Maraini e il Personaggio Rivelazione del Pisa Book Festival, Joseph Farrell.
Fonte: http://www.dellaportaeditori.it/autori/joseph-farrell/
Praticamente non vedevo l'ora di venire a casa per scoprire chi fosse costui, ed è presto detto: è professore emerito di italianistica presso la University of Strathclyde di Glasgow! Ma davvero? Ma ommioddio! 
La mia ignoranza non conosce limiti, ma grazie a questi eventi posso darmi un tono; praticamente lui è un mega esperto di cultura e teatro della Sicilia, è Cavaliere della Repubblica Italiana perché diffonde nel mondo l'amore per il nostro Paese, è un critico teatrale finissimo, è Vincitore del Premio Flaiano di Italianistica del 2013 e ha pure scritto un libro intervistando Franca Rame [Non è tempo di nostalgia, DellaPorta, 2013]! Ma soprattutto è un oratore nato, mi ha fatto schiantare dalle risate, quell'umorismo da sgomitate complici e testa all'indietro. Amore! 

Chiudiamo il momento fangirl e torniamo all'incontro in Sala Pacinotti. Come ho detto i lettori hanno salutato la madrina del Festival riempiendo la sala fino a scoppiare, ed hanno ascoltato incantati le parole di questa immensa rappresentate della Storia Culturale e Letteraria d'Italia. Il mio amico Joseph la definisce nomade, intellettualmente nomade. Lei si ritrova un sacco in queste parole, ed inizia a raccontare la storia della sua infanzia: il nonno scultore e fascista della prima onda, il padre antropologo ed il loro insanabile contrasto, segnato da un litigio in cui Fosco Maraini strappò davanti agli occhi del padre la tessera del fascio, uscì di casa e non vi fece più ritorno. Non volle più dipendere dal padre, e si trasferì a Fiesole, dove campava a stento. Dacia Maraini ricorda il suo sangue misto: madre italo-cilena, padre toscano-inglese, ed il suo essere sempre stata in viaggio; si considera quindi nomade, ma si considera italiana perché parla italiano. Perché la cultura di un Paese non è data dalla religione, né dai confini, né dalla bandiera: la cultura è lingua. E poi, nonostante abbia vissuto otto anni in Giappone, si considera europea quando viaggia (e qui mi volevo alzare e urlare "Anch'io Dacia l'ho sempre pensato!!! Cuori!" Però mi sono data un contegno e sono stata buona buona sulla mia seggiolina). 
La scrittrice racconta poi dei libri che c'erano nella casa di famiglia, l'unica loro ricchezza: erano talmente poveri che non si potevano permettere di comprarle un cappotto, indossava quello del nonno; non aveva il cappotto, ma aveva i libri. Ed anche la musica, la musica classica. Il discorso si sposta poi sulle dolorose memorie degli anni passati in un campo di concentramento in Giappone, e del successivo ritorno in Sicilia, che Dacia Maraini ha potuto conoscere prima che venisse attuata la rapina del territorio che ha deturpato questa terra meravigliosa, distruggendo in maniera irredimibile quell'incredibile bellezza. E racconta poi della mafia, che negli anni Sessanta era ancora un tabù linguistico, a conferma del punto massimo di presenza dell'organizzazione criminale in Sicilia.


E poi il racconto più bello: il suo essere, prima di una scrittrice, una lettrice: lettrice vorace, appassionata, che si è sempre portata dietro un libro per ogni occasione: da borsa, da tasca, da valigia: qualsiasi momento possibile è dedicato alla lettura, e il suo preferito in assoluto è quello del treno (cuoriabbestia). Successivamente viene il piacere della scrittura: Dacia Maraini ha un lettore ideale a cui si rivolge, chiunque abbia voglia di leggerla. Non si immagina però chi costui possa essere (bellina!). I suoi libri nascono spontaneamente, i personaggi si impossessano di lei e vogliono essere raccontati, le sue sono storie che germinano nella sua testa e piano piano si allargano, e devono essere scritte. Una volta creato, il personaggio va un po' per i fatti suoi (e qui Joseph Farrell con espressioni bellissime manifesta un po' di perplessità^^). Concludo con il commento di un'insegnante che prima di porgere a Dacia Maraini una domanda, le dice che con le sue parole «le ha fatto leggere l'ascolto». Meraviglia.

Si chiude così la prima giornata del Pisa Book Festival: carica di borse ed amore, faccio ritorno alla macchina distrutta ma raggiante, non osando neanche immaginare quello che mi riserveranno le giornate successive. E penso che sono esattamente dove vorrei essere, ed è il pensiero più felice del mondo. 

B.

domenica 9 novembre 2014

#Pbf2014 - 7 novembre: l'inaugurazione e l'incontro con gli editori

È ormai notte fonda, ma l’adrenalina non ne vuole sapere di scendere. La prima giornata del PisaBook Festival 2014 è stata piena, pienissima di eventi, editori, nuove scoperte, amici e “colleghi” ritrovati, biscotti e pizzette, cicchini e caffè, ma soprattutto di libri.
Per questo non voglio perdere nemmeno un secondo: ecco a voi Il Giorno 1, parte 1.


giovedì 6 novembre 2014

Meno uno al Pisa Book Festival!

Il karma non perdona, e questo lo sappiamo bene. Dopo una tre giorni a Venezia, di sole perfetto, scorci magnifici, mangiate memorabili, mi è sembrato giusto infatti farmi una tre giorni in ospedale. Vertigini & svarioni, instabilità posturale, mal di testa assassino. Il modo migliore per prepararmi al Pisa Book Festival insomma! Ma qui non stiamo mica a leggere Volo, quindi bando ai malesseri, rimbocchiamoci le maniche e stiliamo il programma perfetto. Alla fine sono sotto le coperte, fuori piove e il mal di testa sta lentamente passando, cosa voglio di più? 



Panico. Ma che programma meraviglioso hanno creato quest'anno? Ma è davvero il Pisa Book?!? A me i sali! Per non parlare del fatto che il Paese Ospite del 2014 è la Scandinavia... lacrime di gioia. 

La prima volta che sono stata a questa festa dell'editoria indipendente in versione pisana ero dietro al banchetto della Felici Editore: era il 2009, e stavo svolgendo il tirocinio formativo per l'università. Mi sembrava di essere un pidocchino, lì in mezzo a tutti quegli stand pieni di libri, e poi libri, e ancora libri. Ho portato scatoloni, sono stata in piedi ore ed ore, indossato magliette letterarie, fatto la promoter, mi sono sentita parte di un mondo meraviglioso. Negli anni ci sono ovviamente tornata, sempre con maggiore consapevolezza, di venerdì mattina presto, in solitaria, per godere al meglio ogni Casa Editrice, poter sfogliare con calma le ultime novità, comprare libri che non ho ancora letto, scambiare quattro chiacchiere con gli editori, e poi ritrovare gli amici, fumare una sigaretta al freddo, fermarmi un secondo e ritrovarmi a sorridere come una deficiente

Quest'anno ci vado in missione, più carica che mai, praticamente starò accampata lì fino a domenica; pian pianino, senza strafare (questo è per Madre), ma con la voglia di prendere tutto ciò che un evento del genere è in grado di dare a chi di libri vive

Vi prometto un reportage come si deve, liste di libri da comprare, foto carine e autunnali, qualche scoop e tanto ammòre. E se proprio non ce la dovessi fare... ricordatemi così :-). 

A prestissimo, e buon Festival!

B.  

martedì 21 ottobre 2014

5. Carlo Bernari, Tre operai

Avvertenza: sto per tirarvi un pippone allucinante. Poi non dite che non vi avevo avvertito. 

Goffredo Fofi recensisce l'ultima edizione di Tre operai di Carlo Bernari, uscita nel 2011 per merito di Marsilio, che ha curato una collana di tascabili interamente dedicata al Novecento italiano. Applausi. Io ho però letto il romanzo in una vecchia edizione Mondadori, anzi in due: quella del 2005 e quella 1975, ovviamente la mia preferita: pagine ingiallite e odore di storia. Tre operai è il romanzo d'esordio (e a detta di tutti, il migliore) del buon Carlo Bernari, che in realtà di cognome faceva Bernard perché la sua famiglia era di origine francese. Ma lui è nato a Napoli, ed infatti si inserisce a bomba nel filone dei meridionalisti. Questo romanzo è frutto di diverse riscritture, ed esce nel 1934 per merito di Cesare Zavattini, a cui l'autore dedica appunto le sue sudate carte, perché era stato l'unico che ci aveva creduto abbestia. E a ragione, aggiungo io! Per i temi trattati il romanzo fu curiosamente male accolto dal regime fascista, che ne vietò la diffusione. Fine dei cenni storici.

Al ginnasio avevo un curioso professore di italiano leggermente affezionato al Neorealismo; come conseguenza, io, i miei compagni ed intere generazioni di studenti, alla tenera età di quattordici-quindici anni ci siamo sparati libri leggeri e scorrevoli come Fontamara di Silone, Gente in Aspromonte di Alvaro, Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Roba che andava giù come niente, insomma. Dopo Fontamara (tanto tanto amore) ho attraversato un periodo di disagio infinito (toh!) e quindi ho un attimo perso le fila della questione, ma dentro di me ormai si era sedimentata la passione per quel tipo di letteratura, che ho continuato a coltivare in anni più felici. Metello, Il sentiero dei nidi di ragno, La ciociara, Uomini e no, solo per citare alcuni dei capisaldi della mia biblioteca. Insomma, tutto questo per dire che ho letto Tre operai con gioia, trionfo e nostalgia.

Si tratta di una storia dove (stranamente) il disagio regna sovrano. È un disagio triste, cupo, che ti si attacca ai vestiti e non concede niente. I tre operai in questione sono Teodoro, il protagonista, Anna, uno dei personaggi femminili più ben delineati della narrativa italiana contemporanea, e Marco. Si incontrano inizialmente in una lavanderia industriale di Napoli, tra i fumi tossici, i macchinari antiquati e le speranze represse. La città stessa è lontanissima dai ritratti paesaggistici che ne erano stati fatti fino ad allora, ed assume invece il carattere della metropoli che ti opprime e ti risucchia, dove piove costantemente e tutto appare slavato e malinconico. I tre personaggi vi si muovono e ne sono respinti, tant'è che cercheranno di fare fortuna altrove, Teodoro e Marco a Taranto, per poi passare anche dal fronte, ed Anna a Roma. Alla fine però si ritroveranno a vivere tutti insieme, in una misera casetta fuori Napoli, sprofondando sempre più nella desolazione e nel baratro. In mezzo, i dissidi interiori sulla lotta di classe, la rivoluzione operaia, l'occupazione delle fabbriche del 1921; l'ascesa del regime fascista, l'impossibilità di combattere, l'immobilismo come condizione esistenziale. Teodoro vorrebbe solo essere libero, ma nemmeno lui sa cosa sia questa libertà tanto aspirata. Anna muore, divorata dalla malattia, e la sua morte è «un emblema disperato di solitudine» [Geno Pampaloni].

Oltre alle tematiche affrontate, che hanno contribuito a designare Tre operai come romanzo anticipatore del Neorealismo (anche se in questo caso i personaggi non incarnano nessun ideale di progresso, non sono eroi positivi, bensì poveri cristi), la novità di Bernari è quella di utilizzare una struttura narrativa nuovissima per l'ambiente letterario italiano (retaggio della sua giovinezza passata a fare scorribande negli ambienti avanguardistici parigini): la terza persona, infatti, concede delle incursioni nella mente di Teodoro, facendoci assaggiare dei pezzi di monologo interiore che costringono ancora di più a fare i conti con la vita spezzata, ansiogena e senza direzione del protagonista. Bernari però trova lo spazio anche per commoventi momenti di lirismo, che lo avvicinano comunque al Decadentismo ancora dominante in Italia.

Se ancora non si è capito, questo romanzo va letto assolutamente, perché è parte integrante del nostro dna, perché è inspiegabilmente poco conosciuto, perché è come ricevere uno schiaffo dritto in faccia, tante sono le riflessioni che porta a fare sull'Italia di oggidì. Vi lascio con un tocco sentimentalista e di parte, tratto dalla Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno scritta da Calvino nel 1964 per una nuova edizione del suo primissimo romanzo, uscito nel 1947.

Il "neorealismo" non fu una scuola. (Cerchiamo di dire le cose con esattezza). Fu un insieme di voci, in gran parte periferiche, una molteplice scoperta delle diverse Italie, anche - o specialmente - delle Italie fino allora più inedite per la letteratura. [...] La caratterizzazione locale voleva dare sapore di verità a una rappresentazione in cui doveva riconoscersi tutto il vasto mondo: come la provincia americana in quegli scrittori degli Anni Trenta di cui tanti critici ci rimproverarono di essere gli allievi diretti o indiretti. 
In sintesi: 

  • Paese: Italia.
  • Prima edizione originale: 1934.
  • Data recensione Fofi: 22 settembre 2011.
  • Pagine: 207.  
  • Periodo di lettura: 27-31 dicembre 2013.
  • Consigliato: abbestia

B.

mercoledì 15 ottobre 2014

Viva viva il #socialbookday!

Il sito Libreriamo.it promuove, per il secondo anno consecutivo, il Social Book Day. Si tratta di un'iniziativa che propone di invadere i social network con l'hashtag #socialbookday, per diffondere ovunque il proprio ammòre smisurato e sconfinato nei confronti dei libri e della lettura. Volevate che io non vi partecipassi??? Che rimanessi indietro? Che passassi tutto il pomeriggio a dormire? Ebbene no! 


Quindi eccomi qua a sproloquiare sul Grande Tema, per la vostra immensa gioia. Qualche tempo fa ero ancora un essere piuttosto schivo e che trovava difficile anche solo chiedere un'informazione ad uno sconosciuto. Stavo ore ed ore a scrivere brani di diario paranoici ed introversi, e non riuscivo a comunicare un pensiero, un'idea, un'opinione una. Poi all'improvviso sono diventata un animalino sociale, e adesso parlo anche un po' troppo. Ho imparato ad essere kamikaze, e a costo di essere inopportuna cerco sempre di esprimere tutto quello che partorisco nella mia giovine testa, non solo scrivendo ma anche a suon di blablabla. Tutto questo per dire che sono una fan sfegatata della condivisione. E con gli anni ho capito anche che il mondo sta prendendo una direzione, quella del condividere come se non ci fosse un domani. Si potrebbero fare grandi discorsi in proposito, ma siccome poi diventerei noiosa e pedante, dico soltanto che ho mollato i freni, e guardo alle iniziative come quella del #socialbookday con gioia ed entusiasmo.


I social network sono una grande opportunità per il mondo dell'editoria tutto. Le pagine delle piccole e medie case editrici possono fare pubblicità alle proprie uscite e al loro lavoro gratuitamente e diffusamente, così come le librerie indipendenti possono far conoscere le loro realtà; le biblioteche possono essere più vicine ai loro utenti, i lettori si possono incontrare, si possono scoprire curiosità grazie a pagine dedicate, ed essere sempre aggiornati su quello che avviene. Io lo vedo un po' come un grande Caffè Letterario del Terzo Millennio, da cui poi si possono creare occasioni di incontro reale, certo, ma anche rimanendo dietro al proprio schermo si ha una possibilità in più di entrare in nuovi mondi, vicini e lontani. Anche solo aprendo questo blog ho scoperto un sacco di cose che fino a poco fa ignoravo completamente, sentendomi finalmente parte di qualcosa che cercavo da tempo, e quindi plaudo al #socialbookday che si impegna a diffondere sempre di più l'importanza di questi spazi, e il sempre imperativo categorico del leggete, leggete, leggete!   

Una delle proposte per celebrare il #socialbookday è quella di citare una frase di un libro che ci sta particolarmente a cuore. Ebbene, devo confessare che le citazioni non mi sono mai piaciute più di tanto, e raramente mi sono ritrovata a ricopiare brani dai libri, non so perché! Però mi sono messa a spulciare in un po' di vecchie cose, ed ecco a voi una delle poche frasi che è davvero rimasta dentro di me, perché poi chi lo sa: 

«Negli occhi della gente, nel loro andamento lento, faticoso, nel chiasso e nel frastuono, le carrozze, le automobili, i tram, i furgoni, gli uomini-sandwich che vanno avanti e indietro col loro passo strascicato e ondeggiante, le bande e gli organetti; nel trionfo e nel tripudio e nel canto stranamente acuto di un aereo, ciò che amava era: la vita, Londra, quell'attimo di giugno». Virgina Woolf, Mrs Dalloway
B.

lunedì 13 ottobre 2014

4. Emmanuel Carrère, Limonov

La recensione di Fofi è in questo caso particolarmente magnetica ed ispirante, e a lettura ultimata ho trovato che rendesse assolutamente giustizia a questo originalissimo romanzo. I superlativi e gli avverbi si sprecano, ma vi assicuro che questo libro, edito da Adelphi, è un trip allucinante

Praticamente Carrère nel 2006 si trova a Mosca, durante la silenziosa manifestazione commemorativa dei parenti delle vittime del teatro della Dubrovka, e tra la piccola folla scorge un volto noto, quello di Eduard Limonov: lo aveva conosciuto a Parigi all'inizio degli anni Ottanta, quando appariva come «un tipo sexy, smaliziato, spiritoso, che sembrava al contempo un marinaio in libera uscita e una rock-star». Erano i tempi in cui le case parigine raccoglievano i nuovi scapigliati, tra cui appunto questo strano scrittore russo, che «non era un romanziere: sapeva raccontare soltanto la sua vita», ma ci riusciva benissimo.
Anni dopo, il giornalista francese Patrick de Saint-Exupéry stava preparando il lancio di una rivista di attualità, e chiese a Carrère un argomento per il primo numero. Lui rispose subito, senza indugio, Limonov, che nel frattempo aveva fondato in Russia il Partito Nazional Bolscevico. Così i due si incontrano nuovamente, passano due settimane insieme, e l'idea iniziale di un articolo si trasforma presto in un romanzo-biografia-reportage incentrato sulle gesta di questa sorta di anti-eroe, che sembra talmente assurdo da essere frutto della fantasia dell'autore, e che invece è quanto mai reale.

Una delle costanti che il lettore ritroverà in questo libro è infatti il senso di straniamento che deriva dalla sensazione di stare leggendo una storia realmente accaduta, perché Emmanuel Carrère riesce nel difficile compito di trasformare una vita, già di per sé avventurosa, in Letteratura. Perché con Limonov riesce a raccontare una storia che riguarda tutti noi, anche se ci sta parlando di un individuo che «è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados». Non tutte le parti del romanzo, suddiviso nelle varie fasi della vita del protagonista, hanno destato in me lo stesso interesse, ma nel complesso è stata una lettura appassionante e molto intrigante, che spinge nell'abisso della sovversione dei canoni tradizionali di bene e male, come deve sempre fare, a mio avviso, la buona Letteratura (come viene sottolineato anche su questo bell'articolo pubblicato su minima&moralia).

Proprio oggi, per caso, mi sono imbattuta in un articolo su Doppiozero, in cui Marco Belpoliti prosegue la conversazione iniziata al Festivaletteratura di Mantova con il professor Gian Piero Piretto, a proposito di Putin e dell'animo russo. Si tratta di un pezzo molto lungo ma allo stesso tempo estremamente piacevole ed interessante, che si prefigge di esplorare le peculiarità di un popolo dalle infinite sfaccettature. Tra i vari concetti delineati, due in particolare mi hanno fatto pensare a Limonov, quello della malinconia russa e quello dell'eterno conflitto tra Occidente e Russia, perché penso a Limonov come all'incarnazione di tale opposizione: lui è stato ed è, allo stesso tempo, dentro e fuori la Russia, rappresentante contemporaneo della fine di un sogno, e come ci ha mostrato Carrère, una leggenda vivente contro il cinismo dilagante. 

Ritorno un attimo alla mia consueta idiozia, abbandonata non so perché in questo post, dicendo che niente, questo libro è tanto tanto figo! 

In sintesi: 
  • Paese: Francia.
  • Prima edizione originale: 2011.
  • Data recensione Fofi: 24 ottobre 2012.
  • Pagine: 356.
  • Periodo di lettura: 6-26 dicembre 2013.
  • Consigliato: abbestia.
B. 

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