***AVVERTENZA***
Post luuuuuuungo lungo, ma pieno di tante tante cose interessanti
(e soprattutto pieno di ammòre!)
Premessa
In un febbraio molto incasinato, tra malattia, trasloco, lavoro, pioggia, compleanni e Carnevale, ho pensato che fosse giusto aggiungere pure una piccola gita di due ore all'andata e due al ritorno in quel di Genova, scatenando in Madre stupore misto a rassegnazione per avere una figlia fuori di testa. Il motivo di tale incosciente decisione? Semplice: Francesca Marson, la padrona di casa di Nuvole d'Inchiostro (conosciuta per caso al Salone del Libro in un momento non esattamente esaltante della mia esistenza), aveva organizzato per venerdì 26 febbraio un incontro semplicemente imperdibile. Non solo l'adorato Paolo Cognetti avrebbe parlato della sua antologia di racconti New York Stories, ma il suo interlocutore sarebbe stato Mario Capello, e Marco Peano si sarebbe occupato di leggere parti della raccolta. E lo scenario di tutto questo, una piccola libreria indipendente. Potevo io mancare? Potevo io farmi sfuggire l'occasione di incontrare nuovamente questi tre scrittori meravigliosi? Potevo io perdermi un pomeriggio dove si parlava di letteratura americana??? Giammai! E così mi sono messa a bordo della mia Fiestina, e bella bella ho raggiunto Genova e L'Amico Ritrovato, ho riabbracciato Francesca, mi sono goduta la libreria che piano piano si riempiva, ho chiacchierato sorriso curiosato tra gli scaffali accarezzato abbestia Lucky (il fido cane di Cognetti) e poi finalmente mi sono data una calmata, mi sono seduta, e mi sono fatta stregare ancora una volta dalla magia della letteratura.
Adesso mi sento proprio in dovere di riportarvi interamente la conversazione tra Mario Capello e Paolo Cognetti, perché bimbi, è stata davvero tanta, ma tanta roba (come al solito professionalità e sobrietà!).
La presentazione
Marco Peano ci introduce alla chiacchierata tra Capello e Cognetti leggendo una parte di Perdersi a New York, prefazione dell'antologia, portandoci così fin da subito nelle atmosfere che Cognetti ha voluto ricreare curando la raccolta.
Se le città fossero opere d'arte, e i secoli gli artisti che le hanno create, New York sarebbe il capolavoro del Novecento. In nessun'altra quel vecchio matto ha messo così tanto di sé. In nessuna possiamo rileggere altrettanto bene che cosa il Novecento è stato.Mario Capello si è detto innanzitutto lusingato di essere stato chiamato a presentare New York Stories: secondo lui infatti si tratta di più di una semplice antologia, è piuttosto un distillato della miglior letteratura americana del Novecento, frutto di una scelta accurata, di uno sguardo diversificato e ampio. Ci sono nomi molto belli, afferma. New York è un grande racconto corale, una sorta di prisma attraverso cui possiamo vedere voci che hanno deciso di raccontarla. Spaccato d'America, New York se ne discosta ma è anche un concentrato degli Stati Uniti. Tutti sono passati da lì come da un setaccio e questa antologia rispecchia queste due realtà che riecheggiano una nell'altra, la grande immigrazione e la ricchezza di vite che ha ispirato grandi scrittori, o scrittori che erano essi stessi figli di immigrati, come Don DeLillo.
Capello chiede, come prima cosa, quali siano stati i criteri che hanno permesso di scegliere questi autori particolari, dando spazio a voci troppo spesso sconosciute.
Prima di rispondere il sempre più fantastico Paolo Cognetti ci tiene a manifestare la sua felicità nel vedere la libreria straripare: a volte infatti si ritrova davanti a librerie deserte, affermando che di rado si è difronte a una libreria così piena (la per Francesca, cuori per tutti!). E poi inizia a raccontare, e tutto si ferma, il mondo sembra esserci concentrato tutto in quella stanza. Racconta di come Einaudi pubblichi da tempo antologie a tema, e come questo progetto sia stato concepito. Lui è un autore appassionato di letteratura americana e di racconti, quindi proprio stava nel suo :). Nel 2004 è andato per la prima volta negli Stati Uniti, e negli ultimi dieci anni è stato lì almeno un anno. Ci va a scrivere e a lavorare. Il primo problema che ha dovuto affrontare è stato nella scelta dei criteri e dei confini: nelle librerie di New York infatti ci sono intere sezioni dedicate alla narrativa locale, perché è la città che fa da sfondo a miriadi di romanzi e di film. Quindi questa è la sua antologia, una delle tante possibili. La prima idea grossa è stata quella di non mettere brani di romanzi, perché non gli piacciono, hanno qualcosa del frammento; poi di scegliere il Novecento come gabbia temporale. La letteratura newyorkese inizia in realtà con Washington Irving, poi Herman Melville, Henry James, ma lui ha coltivato l'idea che il Novecento sia proprio l'epoca d'oro di New York. Nel 1924 sono state emanate le leggi sull'immigrazione, mentre prima era libera e quindi New York è stato per moltissimi anni la Porta dell'America. Dall'Europa sono arrivate 12.000.000 di persone, di cui almeno 3.000.000 si sono fermate a New York. Si tratta quindi di una città popolare, di immigrati, di tensioni.
Il primo autore dell'antologia è Francis Scott Fitzgerald: quello che viene riportato è racconto tardivo, che rievoca il suo arrivo a New York; l'ultimo, di Colson Whitehead, tratta invece l'11 settembre. Appena finito il secolo è cambiato qualcosa, la città è stata presa d'assalto dalle stesse persone che l'avevano desiderata tanto. New York Stories contiene sì autori amati, ma anche tanti nomi che in Italia non si conoscono. Molto spazio è stato dato alla letteratura d'immigrazione: quella ebraico-americana è conosciuta, ma c'è anche quella italo-americana, latino-americana, afro-americana, quindi Cognetti ha cercato di mettere un esempio per ognuna di queste. L'ultima idea è invece quella di cercare delle voci italiane. Solo in anni più recenti Cognetti si sta occupando di narrativa italiana. Calvino, Arbasino e altri hanno scritto su viaggi in America e quindi su New York, ma questi racconti non gli piacevano, gli sembravano snob e infarciti di luoghi comuni. Ha trovato invece scrittori che hanno proprio vissuto a New York, come Mario Soldati, che scelse di diventare americano due giorni dopo il crollo della borsa di Wall Street... Ci visse due anni e scrisse uno dei suoi libri più celebri, America primo amore. Poi c'è Oriana Fallaci, non quella della "demenza senile", dice sorridendo Cognetti (senza nessuna verve polemica!, aggiunge), ma la giornalista che è riuscita ad avere uno sguardo molto particolare su New York, e che fa un ritratto bellissimo su Paolo Pasolini, giunto nella Grande Mela da marxista pieno di pregiudizi e che invece si innamora della città. Infine Mario Maffi, professore di Cultura anglo-americana presso la Statale di Milano.
Concludendo, Cognetti riassume le sue idee chiave, quella dell'immigrazione (della New York del Lower East Side insomma), e quella dell'urbanistica.
Prima di rispondere il sempre più fantastico Paolo Cognetti ci tiene a manifestare la sua felicità nel vedere la libreria straripare: a volte infatti si ritrova davanti a librerie deserte, affermando che di rado si è difronte a una libreria così piena (la per Francesca, cuori per tutti!). E poi inizia a raccontare, e tutto si ferma, il mondo sembra esserci concentrato tutto in quella stanza. Racconta di come Einaudi pubblichi da tempo antologie a tema, e come questo progetto sia stato concepito. Lui è un autore appassionato di letteratura americana e di racconti, quindi proprio stava nel suo :). Nel 2004 è andato per la prima volta negli Stati Uniti, e negli ultimi dieci anni è stato lì almeno un anno. Ci va a scrivere e a lavorare. Il primo problema che ha dovuto affrontare è stato nella scelta dei criteri e dei confini: nelle librerie di New York infatti ci sono intere sezioni dedicate alla narrativa locale, perché è la città che fa da sfondo a miriadi di romanzi e di film. Quindi questa è la sua antologia, una delle tante possibili. La prima idea grossa è stata quella di non mettere brani di romanzi, perché non gli piacciono, hanno qualcosa del frammento; poi di scegliere il Novecento come gabbia temporale. La letteratura newyorkese inizia in realtà con Washington Irving, poi Herman Melville, Henry James, ma lui ha coltivato l'idea che il Novecento sia proprio l'epoca d'oro di New York. Nel 1924 sono state emanate le leggi sull'immigrazione, mentre prima era libera e quindi New York è stato per moltissimi anni la Porta dell'America. Dall'Europa sono arrivate 12.000.000 di persone, di cui almeno 3.000.000 si sono fermate a New York. Si tratta quindi di una città popolare, di immigrati, di tensioni.
Il primo autore dell'antologia è Francis Scott Fitzgerald: quello che viene riportato è racconto tardivo, che rievoca il suo arrivo a New York; l'ultimo, di Colson Whitehead, tratta invece l'11 settembre. Appena finito il secolo è cambiato qualcosa, la città è stata presa d'assalto dalle stesse persone che l'avevano desiderata tanto. New York Stories contiene sì autori amati, ma anche tanti nomi che in Italia non si conoscono. Molto spazio è stato dato alla letteratura d'immigrazione: quella ebraico-americana è conosciuta, ma c'è anche quella italo-americana, latino-americana, afro-americana, quindi Cognetti ha cercato di mettere un esempio per ognuna di queste. L'ultima idea è invece quella di cercare delle voci italiane. Solo in anni più recenti Cognetti si sta occupando di narrativa italiana. Calvino, Arbasino e altri hanno scritto su viaggi in America e quindi su New York, ma questi racconti non gli piacevano, gli sembravano snob e infarciti di luoghi comuni. Ha trovato invece scrittori che hanno proprio vissuto a New York, come Mario Soldati, che scelse di diventare americano due giorni dopo il crollo della borsa di Wall Street... Ci visse due anni e scrisse uno dei suoi libri più celebri, America primo amore. Poi c'è Oriana Fallaci, non quella della "demenza senile", dice sorridendo Cognetti (senza nessuna verve polemica!, aggiunge), ma la giornalista che è riuscita ad avere uno sguardo molto particolare su New York, e che fa un ritratto bellissimo su Paolo Pasolini, giunto nella Grande Mela da marxista pieno di pregiudizi e che invece si innamora della città. Infine Mario Maffi, professore di Cultura anglo-americana presso la Statale di Milano.
Concludendo, Cognetti riassume le sue idee chiave, quella dell'immigrazione (della New York del Lower East Side insomma), e quella dell'urbanistica.
Un altro criterio fondamentale, aggiunge Mario Capello, è la volontà precisa di mettere delle autrici: sia per motivo politico che per dare uno sguardo particolare sulla città. Un'altra chiave che ha notato è quella del fallimento esistenziale, e chiede a Cognetti di parlarci di questi due filoni.
Il buon Paolo afferma di essere femminista come lettore, e quindi la sua scelta gli è sembrata naturale. Ci sono diverse donne, nella raccolta, perché c'era in loro un talento particolare nel cogliere l'anima della città. Grace Paley, ad esempio, aveva il talento dell'ascolto: aveva capito che New York era una città jazz, una città polifonica. E alcune scrittrici sono state particolarmente brave a catturare questa musica.
Per quanto riguarda l'altra linea narrativa, è risaputo che si va a New York per liberarsi velocemente dalle cose che si lasciano indietro, e per afferrare quelle che si desiderano. L'età media di chi vive a New York è ancora di 35 anni, è una città persone che hanno voglia di costruire, di lavorare, di sacrificarsi. Non sempre il successo è garantito. Poi magari se ne vanno quando vogliono costruire qualcosa di più concreto. Le donne, in particolare, in questa ricerca hanno molto da dire, soprattutto sulla libertà di essere donna.
Oriana Fallaci ha scritto un racconto molto bello, prosegue Capello. Prima è stata una grande scrittrice che faceva una forma di reportage narrativo, molto innovativo, perché anche nel momento in cui racconta Pasolini lei è comunque presente; il racconto è emblematico di tutta l'antologia, perché racconta di una fascinazione.
Cognetti risponde che New York è di tutti, chi ci è andato una settimana ha la sensazione di averla posseduta, così come chi non ci è mai stato. Comunque di solito si ha l'idea di una città molto nordica, pulita, fredda... quando si arriva lì si va subito a Times Square per appropriarsi di questa sensazione. Invece a New York c'è anche tanto rosso, il rosso dei mattoni. Ci sono gli odori della spazzatura, della carne arrostita, del mare (New York è un porto!). Una città meridionale, perché dopotutto sono state la cultura ebraica e quella italiana a formarla. Non c'è solo Manhattan, ma anche Brooklyn, il Queens... Manhattan conta 1.500.000 abitanti, e tutta la città 8.000.000! Manhattan è solo un pezzettino di New York.
Quando Pasolini arrivò, era giunto con dei preconcetti molto forti, ma in un attimo si innamora di una città che scopre essere molto popolare, e si chiede perché non ha più vent'anni.
...e parte a malincuore e con i vestiti da ragazzo dell'epoca perché sa che lì non lo giudicherà nessuno, ne compra tanti che poi non metterà mai, conclude Capello (immaginatevi i film che mi sono fatta su Pasolini vestito da giovanotto che gira per i bassifondi di New York... meraviglia)
Piccolo intermezzo: Marco Peano legge il racconto di Thomas Wolfe, contenuto nella raccolta e tradotto proprio da Mario Capello, Solo i morti conoscono Brooklyn. Si tratta di un racconto degli anni '20, ma sembra molto più contemporaneo! Ovviamente, bellissimo.
Poi, a bruciapelo, Capello chiede: Qual è il racconto senza il quale non ci sarebbe l'antologia?
E Cognetti inizia a rispondere citando il racconto che manca, è Bartleby lo scrivano (e a quel punto io mi stavo per alzare in piedi urlando Paolo ti amo!!!, ma mi sono contenuta e ho continuato a scrivere sul mio quaderno). I racconti sono organizzati in ordine cronologico, suddivisibili in quelli degli anni '20-'30 fino alla Guerra, poi quelli degli anni '50-'60, poi la decadenza degli anni '70-'80. Lui è molto legato a quest'ultimo periodo, è nato nel '78 quindi si è nutrito di queste raccolte della New York sporca, pericolosa, dell'abisso, della paura, della decadenza. Nel 1977 c'è stato il famoso black-out, in cui un serial killer si muoveva nella città abbandonata e rivolte si scatenavano ovunque. Le case all'epoca erano occupate da tossicodipendenti e gente di strada, poi questi lotti vennero sgomberati, recintati e distrutti. In questi buchi lasciati dai palazzi il movimento guerrilla gardening creò degli orti autogestiti, che si trovano ancora a Manhattan. Quindi si respira un misto di decadenza e di di appartenenza e militanza. Il racconto che meglio esemplifica tutto questo è L'Angelo Esmeralda di DeLillo (io qui posso annuire consapevolmente, perché ho letto l'intera raccolta che si intitola proprio come il racconto presente qui, per il Progetto di Lettura ovviamente, e vabbé, ciao proprio). Cognetti cita poi Quel bacio vada al mondo intero di Colum McCann, che racconta del funambolo che ha attraversato le torri gemelli su una corda tesa a 110 metri d'altezza, facendo trattenere il respiro ai newyorchesi, interrompendo per un po' il disagio abbestia che stavano vivendo (e anche qui mi trattengo dall'urlare come un'ultrà, perché nel lontano 2008 ho visto il film-documentario tratto proprio da questo libro, Man on Wire, in un meraviglioso cinema indipendente di Copenhagen, con l'Annina, in una sera di inizio marzo. Guai a voi se vedete quella porcata che hanno fatto ora!). Ci racconta poi che il suo luogo del cuore è senza dubbio Coney Island, e ci rimanda alla fantastica citazione de I guerrieri della notte (guardate il video perché merita :D)
Infine Mario Capello nota come ci sia una sorta di filo conduttore nascosto che torna più volte: succede che in una città, forse La Città per antonomasia, quindi prosaica e profana, ci si possa imbattere nel trascendente, e l'esempio che forse lo incarna meglio è il racconto di Cheever, Ballata.
Cognetti risponde citando nuovamente Quel bacio vada al mondo intero, perché in quel funambolo che danza tra le torri gemelle ci vede incarnata l'essenza di quello che diceva Capello. In una delle fasi più buie di New York, ecco apparire un filo teso tra due opposti, a richiamare poi l'opposizione tra alto e basso, tra la grazia di questo angelo e la miseria estrema. Ecco, queste contraddizioni sono una costante di New York. E in ciò vi è anche il riscatto per questo personale tema portante della architettura newyorchese: il tema urbano grattacielo, l' edificio per eccellenza, perché Manhattan è un'isola e si poteva sviluppare solo in verticale, mentre Queens e Brooklyn sono basse, a creare un infinito contrasto.
Conclusioni
Ecco. L'incontro si conclude con un'altra lettura di Peano, e con la sottoscritta che, come al solito, è l'unica ad alzare la manina al momento del "ci sono domande?". Ero troppo curiosa di sapere qualcosa in più sulla lingua, sullo stile di questi racconti, e Cognetti mi illustra una parabola che segue la vita della città: dallo sperimentalismo più spinto degli anni '20 e '30 all'appiattimento degli anni '50 e '60, per poi tornare negli anni del disagio a uno stile più complesso. Ah. Che meraviglia. E poi, come dico sempre, le cose belle si possono concludere solo in un modo, ovvero con un bel brindisi e tanti sorrisi davanti alle tartine. Prima ovviamente mi faccio fare dediche a nastro, e insomma, ho fatto mmmmillemila chilometri, me lo merito! ...Vedo Francesca raggiante, entusiasta per quello che è riuscita a creare. E io sono tanto felice per lei, e tanto orgogliosa di ciò che la passione per i libri riesce a muovere. Un giro di saluti, una foto ricordo, e me ne torno verso la macchina, con il cuore che scoppia.
E mi imbatto in questa pubblicità e sorrido. E non appena accendo la radio, sento questa canzone, e capisco una volta in più che tutto, proprio tutto, ha davvero un senso. Alle prossime Mirabolanti Avventure di Bea!
B.
Ps. Ovviamente vi farò sapere quando avrò letto i racconti, e se voi lo fate fate un fischio!!!
Per quanto riguarda l'altra linea narrativa, è risaputo che si va a New York per liberarsi velocemente dalle cose che si lasciano indietro, e per afferrare quelle che si desiderano. L'età media di chi vive a New York è ancora di 35 anni, è una città persone che hanno voglia di costruire, di lavorare, di sacrificarsi. Non sempre il successo è garantito. Poi magari se ne vanno quando vogliono costruire qualcosa di più concreto. Le donne, in particolare, in questa ricerca hanno molto da dire, soprattutto sulla libertà di essere donna.
Oriana Fallaci ha scritto un racconto molto bello, prosegue Capello. Prima è stata una grande scrittrice che faceva una forma di reportage narrativo, molto innovativo, perché anche nel momento in cui racconta Pasolini lei è comunque presente; il racconto è emblematico di tutta l'antologia, perché racconta di una fascinazione.
Cognetti risponde che New York è di tutti, chi ci è andato una settimana ha la sensazione di averla posseduta, così come chi non ci è mai stato. Comunque di solito si ha l'idea di una città molto nordica, pulita, fredda... quando si arriva lì si va subito a Times Square per appropriarsi di questa sensazione. Invece a New York c'è anche tanto rosso, il rosso dei mattoni. Ci sono gli odori della spazzatura, della carne arrostita, del mare (New York è un porto!). Una città meridionale, perché dopotutto sono state la cultura ebraica e quella italiana a formarla. Non c'è solo Manhattan, ma anche Brooklyn, il Queens... Manhattan conta 1.500.000 abitanti, e tutta la città 8.000.000! Manhattan è solo un pezzettino di New York.
thebuzzingbea a New York, agosto 2013 |
Quando Pasolini arrivò, era giunto con dei preconcetti molto forti, ma in un attimo si innamora di una città che scopre essere molto popolare, e si chiede perché non ha più vent'anni.
...e parte a malincuore e con i vestiti da ragazzo dell'epoca perché sa che lì non lo giudicherà nessuno, ne compra tanti che poi non metterà mai, conclude Capello (immaginatevi i film che mi sono fatta su Pasolini vestito da giovanotto che gira per i bassifondi di New York... meraviglia)
Piccolo intermezzo: Marco Peano legge il racconto di Thomas Wolfe, contenuto nella raccolta e tradotto proprio da Mario Capello, Solo i morti conoscono Brooklyn. Si tratta di un racconto degli anni '20, ma sembra molto più contemporaneo! Ovviamente, bellissimo.
Poi, a bruciapelo, Capello chiede: Qual è il racconto senza il quale non ci sarebbe l'antologia?
E Cognetti inizia a rispondere citando il racconto che manca, è Bartleby lo scrivano (e a quel punto io mi stavo per alzare in piedi urlando Paolo ti amo!!!, ma mi sono contenuta e ho continuato a scrivere sul mio quaderno). I racconti sono organizzati in ordine cronologico, suddivisibili in quelli degli anni '20-'30 fino alla Guerra, poi quelli degli anni '50-'60, poi la decadenza degli anni '70-'80. Lui è molto legato a quest'ultimo periodo, è nato nel '78 quindi si è nutrito di queste raccolte della New York sporca, pericolosa, dell'abisso, della paura, della decadenza. Nel 1977 c'è stato il famoso black-out, in cui un serial killer si muoveva nella città abbandonata e rivolte si scatenavano ovunque. Le case all'epoca erano occupate da tossicodipendenti e gente di strada, poi questi lotti vennero sgomberati, recintati e distrutti. In questi buchi lasciati dai palazzi il movimento guerrilla gardening creò degli orti autogestiti, che si trovano ancora a Manhattan. Quindi si respira un misto di decadenza e di di appartenenza e militanza. Il racconto che meglio esemplifica tutto questo è L'Angelo Esmeralda di DeLillo (io qui posso annuire consapevolmente, perché ho letto l'intera raccolta che si intitola proprio come il racconto presente qui, per il Progetto di Lettura ovviamente, e vabbé, ciao proprio). Cognetti cita poi Quel bacio vada al mondo intero di Colum McCann, che racconta del funambolo che ha attraversato le torri gemelli su una corda tesa a 110 metri d'altezza, facendo trattenere il respiro ai newyorchesi, interrompendo per un po' il disagio abbestia che stavano vivendo (e anche qui mi trattengo dall'urlare come un'ultrà, perché nel lontano 2008 ho visto il film-documentario tratto proprio da questo libro, Man on Wire, in un meraviglioso cinema indipendente di Copenhagen, con l'Annina, in una sera di inizio marzo. Guai a voi se vedete quella porcata che hanno fatto ora!). Ci racconta poi che il suo luogo del cuore è senza dubbio Coney Island, e ci rimanda alla fantastica citazione de I guerrieri della notte (guardate il video perché merita :D)
Infine Mario Capello nota come ci sia una sorta di filo conduttore nascosto che torna più volte: succede che in una città, forse La Città per antonomasia, quindi prosaica e profana, ci si possa imbattere nel trascendente, e l'esempio che forse lo incarna meglio è il racconto di Cheever, Ballata.
Cognetti risponde citando nuovamente Quel bacio vada al mondo intero, perché in quel funambolo che danza tra le torri gemelle ci vede incarnata l'essenza di quello che diceva Capello. In una delle fasi più buie di New York, ecco apparire un filo teso tra due opposti, a richiamare poi l'opposizione tra alto e basso, tra la grazia di questo angelo e la miseria estrema. Ecco, queste contraddizioni sono una costante di New York. E in ciò vi è anche il riscatto per questo personale tema portante della architettura newyorchese: il tema urbano grattacielo, l' edificio per eccellenza, perché Manhattan è un'isola e si poteva sviluppare solo in verticale, mentre Queens e Brooklyn sono basse, a creare un infinito contrasto.
Conclusioni
Ecco. L'incontro si conclude con un'altra lettura di Peano, e con la sottoscritta che, come al solito, è l'unica ad alzare la manina al momento del "ci sono domande?". Ero troppo curiosa di sapere qualcosa in più sulla lingua, sullo stile di questi racconti, e Cognetti mi illustra una parabola che segue la vita della città: dallo sperimentalismo più spinto degli anni '20 e '30 all'appiattimento degli anni '50 e '60, per poi tornare negli anni del disagio a uno stile più complesso. Ah. Che meraviglia. E poi, come dico sempre, le cose belle si possono concludere solo in un modo, ovvero con un bel brindisi e tanti sorrisi davanti alle tartine. Prima ovviamente mi faccio fare dediche a nastro, e insomma, ho fatto mmmmillemila chilometri, me lo merito! ...Vedo Francesca raggiante, entusiasta per quello che è riuscita a creare. E io sono tanto felice per lei, e tanto orgogliosa di ciò che la passione per i libri riesce a muovere. Un giro di saluti, una foto ricordo, e me ne torno verso la macchina, con il cuore che scoppia.
Marco Peano - Mario Capello - thebuzzingbea - Francesca Marson. Foto di Francesca Antognozzi |
E mi imbatto in questa pubblicità e sorrido. E non appena accendo la radio, sento questa canzone, e capisco una volta in più che tutto, proprio tutto, ha davvero un senso. Alle prossime Mirabolanti Avventure di Bea!
B.
Ps. Ovviamente vi farò sapere quando avrò letto i racconti, e se voi lo fate fate un fischio!!!
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