giovedì 13 novembre 2014

#Pbf2014 - 9 novembre: ancora incontri con gli editori!

Ed eccoci già arrivati all'ultima giornata del Pisa Book Festival. Cerco di scacciare la nostalgia preventiva che sempre mi colpisce prima che le cose finiscano, e mi godo la meravigliosa colazione preparatami da Erika, l’ospite migliore che potevo desiderare per la mia tre giorni di immersione totale. E poi esco, e c’è un sole pazzesco, un sole bello che mi accompagna fino al Palazzo dei Congressi. Saluto l’Arno ed eccomi, sono pronta! Inizia la giostra, tutti su! 



So esattamente dove andare: non vedevo l’ora di poter parlare con Roberto Keller, editore della casa editrice di Rovereto Keller nata in giorno di neve alla fine del 2005. Faccio una piccola premessa personale: sono mezza trentina, e mi sento particolarmente legata a questa realtà editoriale, anche se non si occupano di letteratura del loro territorio, le spinte che li muovono vengono da un terreno che conosco bene, e questa conversazione avrà il potere di emozionarmi e commuovermi fino alle punte dei piedi. Roberto Keller è un uomo disponibilissimo, chiaro e davvero legato ed appassionato al suo lavoro. Queste sono costanti che ho riscontrato parlando con tutti gli editori, e il mio cuoricino esplode di gioia.
I primi due volumi pubblicati da Keller sono stati Voci di fiume, l’unico testo di narrativa italiana di tutto il loro catalogo, e Crescere è un mestiere triste. Il primo è una raccolta di racconti il cui tema portante è il fiume Adige, un fiume che non appartiene all'immaginario della vita comune, né all'immaginario del territorio trentino, dove l’elemento naturale predominante è la montagna. Allora è stato chiesto a diversi autori di interrogarsi sul motivo di questa assenza, facendo nascere così il primo volume Keller. Il secondo è invece il romanzo di uno scrittore peruviano, Santiago Roncagliolo (Premio Alfaguara de Novela).
Keller nasce dalla forza di amici e di persone che si sono avvicinate al mondo dell’editoria, Eleonora Grassi, Roberto Keller, Sara Passerini e Silvia Turato. L’idea era quella di reinterpretare il luogo in cui la casa editrice è nata, ovvero il Trentino, e la terra di confine, ruolo che questa regione ha sempre subito. Attorno a questo ossimoro si è costruito un immaginario un po’ diverso, l’idea era usare questa posizione per guardare ciò che succede oltre il confine, e poi si è andati ad esplorare anche il confine stesso, una grande area geografica e culturale molto eterogenea, piena di conflitti, dialoghi, storie. Keller si occupa dunque di letteratura tradotta ed insieme di letteratura minore, e del loro continuo intrecciarsi. Siamo sul circolo alpino, sui confini italiani in Svizzera, Austria, Slovenia, e poi su quello che c’è oltre, scrittori francesi, spagnoli, sconfinando anche oltreoceano e approdando in America del Nord.
La letteratura di cui si occupa la casa editrice è molto aperta, dice Roberto Keller, molto viva, attenta alla contemporaneità, ed allo stesso tempo ripesca in ciò che non è mai stato tradotto in italiano, come ad esempio Max Blecher, scrittore romeno che ha prodotto una narrativa sperimentale negli anni ’30, era un malato terminale di tubercolosi ossea e ha scritto due romanzi uno più bello dell’altro, o come l’ungherese Andreas Latzko.



Ed ecco che Roberto Keller mi dice una cosa bellissima: il loro obiettivo è quello di interpretare l’editoria come curiosità, come un moto di ricerca continuo. Lo fa con due collane principali, Vie, volumi che hanno un formato più piccolo, e Passi, dal formato più standard. Queste collane dialogano tra loro, e la tendenza è quella di alternarle. Vi è poi una terza collana, Razione K, che gioca sulla K, simbolo della casa editrice, e sulla razione di sussistenza dei soldati. Il suo fine è quello di diventare "piccoli oggetti di sopravvivenza", trasferendo i libri di reportage già pubblicati in un’unica collana, partendo dai Diari ucraini di Kurkov, l’unico libro che parla di ciò che è avvenuto in piazza Maidan, e La frontiera dei cani di Marie-Luise Scherer, che parla del confine tra Germania Est e Germania Ovest, tema attualissimo nei giorni che celebrano i venticinque anni dalla caduta del Muro di Berlino. Da quest’anno e per i prossimi cinque anni Keller darà vita ad un nuovo progetto, Confini, il cui obiettivo è riflettere, a partire dal centenario della Grande Guerra, sui conflitti ancora irrisolti che essa ha generato. C’è stato infatti un rimescolamento di confini che ha originato tensioni, situazioni di disagio, problemi che ancora non sono stati affrontati e che portano, però, storie al mondo della narrativa. I primi due titoli pubblicati sono Ai margini della ferita di Sepp Mall, un autore altoatesino degli anni ’50/’60, che racconta l’ingresso nell'età adulta di due ragazzi sullo sfondo della notte dei fuochi, e L’angelo dell’oblio di Maja Hederlap (era uno dei miei "vorrei ma non posso" di Pordenonelegge, questo settembre). che racconta attraverso gli occhi di una bambina e gli occhi potenti della nonna la storia del popolo sloveno dopo l’Impero Austroungarico, con un linguaggio straordinariamente poetico. La Grande Guerra è dunque intesa come una sorta di vaso di Pandora che una volta apertosi ha originato questioni ancora irrisolte (come la sofferenza del popolo altoatesino).
Sono cullata dalle parole di Roberto Keller, continuo ad annuire come una deficiente e a sorridergli senza sosta, ma ho letto già tre romanzi da loro pubblicati (sotto consiglio di Goffredo Fofi, ovviamente), e riconosco in ciò che mi dice tutte le atmosfere che avevo trovato nella scrittura di autori di terre di mezzo come la Svizzera, l’Armenia (?!), le Alpi (la prossima recensione del Progetto diLettura di Bea sarà proprio su uno di questi romanzi, stay tuned!). Poi mi ripiglio e torno un attimo in me. Dico a Roberto Keller che la cosa che mi ricordo maggiormente del Pisa Book Festival 2009 è stato il boato proveniente dal loro stand al momento dell’annuncio che ilvincitore del Premio Nobel per la letteratura era Herta Müller, che loro avevano tradotto e portato in Italia, e gli chiedo quindi come hanno reagito ad un evento di tale portata. Mi racconta che al tempo la casa editrice era ancora giovine, nonché formata da una sola persona, e ha dovuto darsi una struttura più forte. I libri di Herta Müller che erano stati inviati alle librerie sono stati venduti, e quindi il ritorno è stato positivo. Dopo il momento di grande visibilità, vi è stata necessità di ripartire per dimostrare che la loro non fosse stata fortuna, rimettendosi al lavoro con umiltà senza cambiare la loro essenza, fatta di curiosità, ricerca e l’obiettivo di pubblicare solamente ciò di cui sono convinti. Sono un piccolo laboratorio editoriale della provincia dell’Impero, stanno su un confine dove tutto arriva attutito, e devono mantenere così una certa distanza per avere una visione diversa delle cose.
Io esco profondamente toccata da questa conversazione, riaccompagno Roberto Keller allo stand e faccio razzia dei loro libri (mi porto a casa La frontiera dei cani, Crescere è un mestiere triste, Il re non ha sonno di Cécile Coulon e Ultima sera, l'ultimo dell'adorato Arno Camenisch), così, tanto per gradire! Grazie mille per questa chiacchierata al mio quasi conterraneo Keller.

Da una frontiera all'altra (d'altronde il tema conduttore del Festival è proprio libri senza frontiere! – Ci sto dentro debbbrutto), vado a trovare lo stand de LaNuovafrontiera, che conosco ed amo ormai da molto tempo (recensioni dei romanzi da loro pubblicati che ho letto in arrivo, credeteci abbestia!). 



Loro si occupano di letteratura castigliana, catalana e portoghese, dalla Spagna al Portogallo, dall'America del Sud all'Africa lusofona, e lo fanno da più di dieci anni. Curano un sacco la tradzione delle opere che intendono pubblicare, siano romanzi inediti in Italia o riportati in vita dopo un immotivato oblio. Lo stand è sempre pieno di persone curiose che spulciano tra i loro volumi, io faccio due chiacchiere con Franca Pirina, che mi racconta del recente progetto editoriale Cronache di frontiera, incentrato sul giornalismo narrativo, un genere che in Italia non va molto (curioso), ma che invece è centrale in America Latina. Franca è davvero presa dal fermento della fiera, e allora io mi limito a fare dei nuovi acquisti (la signora Cristina mi obbliga, letteralmente, a comprare il romanzo La piazza del diamante della catalana Mercè Rodoreda, perché, dice, è uno dei capolavori assoluti del Novecento. Signora, mi ha convinto!), distribuire biscotti e scomparire come Creusa.

Mi avvio così verso lo stand regina del Festival, ovviamente quello di Iperborea. Lì incontro Anna Basile, la redattrice di questa meravigliosa realtà editoriale, che per motivi di studio e passione personale conosco da tempo, ma che non smette mai di stupirmi. Come aveva raccontato Pietro Biancardi durante lo workshop organizzato con minimum fax Lavorare con i libri, la casa editrice Iperborea ha avuto molta visibilità fin dalla sua nascita, nel 1987. È nata dalla volontà di Emilia Lodigiani di portare in Italia gli scrittori del Nord che aveva letto in traduzione francese, e che all'epoca non esistevano in edizione italiana. Ci sono stati poi due momenti che ne hanno sancito la svolta commerciale: nel 1994 viene pubblicato L’anno della lepre di Arto Paasilinna, che ha venduto più di 100.000 copie in 20 anni; nel 1998 è la pubblicazione de La vera storia del pirata Long John Silver, di Björn Larsson (l'ospitone internazionale del Festival), che si imporrà nel panorama editoriale italiano. Pietro Biancardi ha riflettuto molto sull'identità dell'editore, che è affetta da bipolarismo; egli si divide infatti tra: il voler presentare un bel progetto culturale, e il dover fare i conti con il mercato. Bisogna innanzitutto creare l’identità dell’editore. Il giallo svedese ha sconvolto la linea editoriale di Iperborea, che quando è stata fondata non aveva nessun tipo di concorrenza.


Mi sembra che il loro stato di salute sia ottimo: non c'è stato un secondo in cui il loro banchetto non fosse preso d'assalto dai lettori, ed io personalmente ho contribuito portandomi via, oltre che Morten Brask (sì, ok, La vita perfetta di William Sidis, non il fighissimo scrittore!), le Fiabe Lapponi (ed è già Natale), Il libro delle parabole di Per Olov Enquist (perché ho letto la recensione di Little Miss Book e me ne sono innamorata) e L'ultima avventura del pirata Long John Silver di Larsson (per non farsi mancare niente). Evviva!

Ancora un po' di spazio a quelli che in effetti sono i giganti dell'editoria indipendente. Subito all'ingresso del Palazzo dei Congressi c'è in fatti lo stand condiviso da Marcos y Marcos (di cui parlerò nei prossimi post), minimum fax e Sur. La casa editrice minimum fax nasce nel 1994 dall'incontro tra Marco Cassini e Daniele di Gennario, e si concentra sulle pubblicazioni di autori nordamericani, italiani, e sulla saggistica. Ovviamente non ha bisogno di ulteriori presentazioni, è una realtà solida e fondamentale del panorama editoriale italiano, ed io mi limito solo a dire che voglio loro tanto tanto bene. Avrei voluto partecipare alla presentazione di Le persone, soltanto le persone di Christian Raimo, ma lo spazio-tempo non me l'ha permesso.



Due parole in più le voglio dedicare invece a Edizioni Sur, perché quando racconto di questo progetto editoriale in pochi lo conoscono. Alla fine del 2011, durante un momento di disagio pazzesco, Marco Cassini ha voluto credere in qualcosa di diverso, e ha deciso che i libri di Sur sarebbero stati distribuiti in maniera autonoma, privilegiando il rapporto diretto con i librai indipendenti. Oltre a questa innovazione distributiva, vi è una cura maniacale nella scelta dei testi da pubblicare, "letteratura latinoamericana di qualità". I loro libri sono belli, punto. Belli dentro, perché grazie al cielo oltre che a novità vengono riproposti anche i classici dimenticati, e belli fuori, perché le loro copertine fanno letteralmente impazzire i book lovers.

E anche per oggi ho dato, ma non pensate che la mia terza giornata di Pisa Book Festival sia finita così...!

B.    

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