Ci
sono casi in cui queste mie ri-recensioni mi sembrano del tutto inutili e
soprattutto ridondanti, perché la recensione del Saggissimo Goffredo è già di per sé un capolavoro dell'arte della narrazione,
tanto risulta esplicativa, evocativa, efficace. Ormai però mi ci sono buttata,
non mi tiro indietro, e vi beccate anche il mio pensiero su questa meravigliosa
raccolta di racconti del pluripremiato scrittore israeliano. Ovviamente di Amos Oz non avevo letto alcuna opera; avrei
potuto iniziare da qualche suo lavoro precedente, giusto per coglierlo negli
anni migliori poiché scrive dagli anni Sessanta, ma la recensione di Tra amici mi aveva talmente colpito, e il fatto che ci fosse in
biblioteca mi aveva talmente entusiasmato, che in tre giorni mi sono divorata i
suoi racconti. E poi Fofi continua a scrivere, giusto un paio di settimane fa,
che «Oz non è soltanto il miglior scrittore
israeliano di oggi (Yehoshua si è infiacchito, Grossman non li ha mai
raggiunti), è anche uno dei migliori in assoluto nel mondo». E allora bomba!
Le atmosfere in cui ci porta Tra amici sono molto particolari. Innanzitutto mi hanno ricordato
quelle di Olive Kitteridge, perché ci
troviamo di fronte ad una raccolta di racconti con fil rouge: quello tessuto da Elizabeth Strout era costituito dall'onnipresenza
di Olive, mentre qui abbiamo la vita nel kibbutz a legare i vari racconti. E
cosa diamine è un kibbutz, mi sono chiesta dall’alto della mia capritudine quando ho letto la
recensione di Fofi? Grazie al cielo viviamo negli anni di Wikipedia e mi sono
fatta una cultura tempo zero, scoprendo così che il kibbutz è una comunità prevalentemente
a stampo agricolo dello stato di Israele, dove dagli inizi del XX secolo le
genti si associano in maniera volontaria e decidono di vivere insieme in questo
villaggio autogestito, dove tutti lavorano per tutti, dove si mangia tutti
insieme, e dove i figlioli crescono in case separate dai genitori. Fine del mio
misero spiegone.
E qui potrei partire con “ah quanto è bella la letteratura
che ti fa compiere viaggi attraverso le righe, che ti apre mondi sconosciuti”,
e, in effetti, lo faccio, perché è talmente scontato da essere profondamente
vero e soprattutto necessario: leggere ci fa conoscere il mondo, e lo fa pure
intrattenendoci, sai che figo! E qui l’atmosfera è del tutto nuova e mai
banale, creata oltre che dal racconto sulle varie vite dei personaggi anche da
una scrittura asciutta ma interessante, che mi ha a dir poco affascinata. Mi fa
ridere a volte pensare quanto io ami sia le scritture più barocche (leggi Faulkner)
che quelle più minimaliste (leggi Carver), perché i miei sondaggi parlando
chiaramente di amore o odio per una o per l’altra.
Nel kibbutz in questione siamo negli anni Cinquanta, e ogni
racconto affronta le vite dei suoi membri, che ritroveremo nel corso di ciascun
racconto, andando così a costituire un affresco completo del villaggio, della
sua struttura e delle sue scelte, molte delle quali ci sembreranno strane o
biasimabili, altre invece affascinanti e auspicabili. Il mondo che ci propone
Oz è popolato da abitanti dai nomi mai sentiti, che affrontano una quotidianità
del tutto altra da quella cui siamo
abituati, ma nella quale, comunque, riusciamo a immedesimarci, e l’adesione
emotiva con l’umanità che ci viene presentata è completa e particolarmente
intensa. Ho provato a pensare a un racconto che mi ha colpito più di altri, ma
proprio non ci riesco: mi sono piaciuti tutte, queste «cechoviane storie di disagio, di ricerca, di nevrosi dentro la
prova di un modello di convivenza che non è facile sostenere». E allora v’invito
a leggerle abbestia, per scoprire ancora una volta cosa si nasconde un po’ più
in là del nostro orizzonte canonico, per riflettere provando piacere, il
piacere profondo di una storia raccontata come si deve.
In sintesi:
- Paese: Israele.
- Prima edizione originale: 2012.
- Data recensione Fofi: 21 giugno 2012.
- Pagine: 131.
- Periodo di lettura: 13-15 gennaio 2014.
- Consigliato: abbestia.
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