mercoledì 14 gennaio 2015

#Piùlibri14 - 5 dicembre: Percorsi letterari tra Europa e America Latina e Omaggio a Julio Ramón Ribeyro

Come credo si sia notato anche dalla lista dei libri letti nel 2014, negli ultimi mesi mi sono molto appassionata alla Letteratura del Sud America. In realtà è praticamente da sempre che sento il richiamo del continente sudamericano. Un percorso iniziato da bambina con la curiosità verso Maya, Incas ed Atzechi e con le mie interminabili ricerche sulla Foresta Pluviale. Conoscevo nel dettaglio tutti gli strati della vegetazione amazzonica, e ho iniziato a soffrire prestissimo per la deforestazione (un'infanzia difficile, la mia). Nel periodo "ardore adolescenziale" ho ovviamente cavalcato l'onda di Che Guevara ed Intillimani, Salvador Allende, Le vene aperte dell'America Latina, il Subcomandante Marcos. Sono passata poi ad una voglia sempre più grande di approfondire la colonizzazione europea (grande avvenimento della mia piccola vita "intellettuale" la lettura de La conquista dell’America di Tvetan Todorov), fino ad arrivare finalmente alla Letteratura, prima con Sepúlveda, poi Márquez, poi con Isabel Allende, da qualche anno con Cortázar (grazie a Lisa che mi ha regalato Rayuela) e il Rulfo di Pedro Paramo (grazie a Stefano Brugnolo). 




La conclusione della mia tesi magistrale si apriva inoltre all'America Latina, ma in realtà è andata a finire che tutti gli spunti sono rimasti lì. Poi con il Progetto di Lettura, sbam, mi si sono aperti dei mondi. Ho letto scrittori uruguaiani, peruviani, argentini, brasiliani, cileni, messicani, brasiliani e lusofoni (perché altro grande amore sta diventando quello della letteratura portoghese-africana). Come dicevo, ma non mi stancherò mai di rimandare a questo post, al Pisa Book Festival ho partecipato con gioia infinita all'incontro con la scrittrice brasiliana Flavia Cristina Simonelli e Julio Monteiro Martins, e i meravigliosi echi di quella serata pisana sono arrivati fino a Roma. E poi pensiamo al fatto che la casa editrice che ha ospitato #BlogNotes è proprio Sur, “dedicata alla letteratura latinoamericana di qualità”… empatia abbestia!

Ecco quindi che sono pronta a raccontarvi “un’entusiasmante visita guidata fra tradizioni e innovazioni della letteratura latino-americana”, promossa dalla IILA, l'Istituto Italo-Latino Americano, iniziando proprio con i Percorsi letterari tra Europa e America Latina, presieduti da Lucio Battistotti (direttore della rappresentanza in Italia della Commissione Europea) e coordinati dalla giornalista Roberta Ronconi, con tantissimi ospiti d’eccezione. La Sala Rubino è piena di appassionati, davvero non mi aspettavo una partecipazione così numerosa. I quattro autori presenti all'incontro (che vivono quasi tutti in Europa) sono:
  • Ricardo Domeneck (Brasile)
  • Edgar Borges (Venezuela)
  • David Majano (Guatemala)
  • Luis Felipe Lomeli (Messico)

La domanda che Roberta Ronconi pone a ciascuno di loro è se esistano dei ponti, dei legami, tra Europa ed America Latina. Perché ciò è evidente se pensiamo alla Spagna e al Portogallo, ma stanno cambiando molte cose, dal punto di vista letterario, di cosa è la letteratura, di cosa sono i continenti. E allora cosa cambia, cosa cambia di uno scrittore latinoamericano che viene a vivere in Europa? 



Fonte: pagina Facebook de La Scuola del Libro, foto modificata dalla sottoscritta.  

(Ci tengo a sottolineare che tutta la conversazione si è svolta in castigliano senza traduzione, quindi chiedo scusa se mi sono persa dei pezzi, il mio spagnolo è un po’ arrugginito ma sempre tanto amato). 

Per primo risponde Ricardo Domeneck poeta, critico letterario e visual artist, che attualmente vive a Berlino. Egli definisce un'isola la sua terra originaria, il Brasile, perché separata e dal Portogallo, e dal resto del continente sudamericano: costituisce, però, un prezioso ponte tra questi luoghi. Io rifletto un sacco su questa cosa da quando ne ha parlato Julio Monteiro Martins a Pisa, perché davvero non avevo mai pensato allo svarione che si genera parlando di America Latina includendovi o escludendovi il Brasile (che tra l'altro è pure bello grosso e si dovrebbe notare). Questa cosa mi affascina tantissimo, soprattutto negli anni in cui questo Stato sta sgomitando sempre di più per ottenere il suo posto nel mondo, tra Mondiali di calcio, Olimpiadi, Giornate della Gioventù, e via dicendo. Con tutte le contraddizioni che questo comporta, come mi ha spiegato la mia amica Gaia che ha vissuto lì un anno. Probabilmente ci saranno degli studi critici in merito, ma questi aspetti "autistici" (nel 2015 metterò le virgolette, temo troppo la ubris) li lascio momentaneamente per me e lascio proseguire Domeneck, che spiega che oggi in Brasile si legge molta letteratura argentina, perché almeno loro ci provano a leggere in castigliano! Borges, Cortázar (molto importante per la sua formazione), sono lasciti del passato coloniale, perché in Sud America si parlano lingue europee. La questione dell’identità diventa una questione letteraria molto importante. Quando parlano in una lingua coloniale, i primi modelli sono europei. Dal Modernismo le cose sono cambiate, è stato emesso un grido di indipendenza, prima Brasile e Portogallo non si leggevano nemmeno. Con Saramago le cose sono cambiate, tutti lo conoscono, così come Pessoa. In Brasile hanno cominciato da poco a parlare della letteratura della tradizione autoctona, di quella prima dell’invasione. Creare un ponte, però, è una cosa complicata, perché così deve essere, perché tanto sangue è stato versato.


La parola passa a Edgar Borges, scrittore di romanzi, racconti, teatro. L'autore venezuelano è d’accordo con Ricardo Domeneck sul fatto che la questione sudamericana debba essere complicata. Egli porta all'attenzione il loro essere comunque americani, la presenza di frontiere linguistiche, il problema dell'identificazione come processo di conoscimento. L'America Latina ha sempre avuto a che fare con situazioni di impero, colonialismo, eccetera. Quindi la letteratura deve costruire realtà nello spazio letterario per vedere a che punto è la situazione. Non c’è molta differenza tra gli uomini… è questa la letteratura, sentire affinità con gli altri anche lontani, riconoscere le storie, riconoscersi anche in altre strade. Proprio la letteratura, con la sua universalità, deve riuscire a creare i ponti di cui stiamo parlando. La soluzione deve essere mondiale, c'è bisogno di una identificazione collettiva, è necessario prendere coscienza e identificarsi con l’altro. In Sala Rubino è palpabile l'emozione del pubblico, attentissimo e silenzioso, perso nella profondità delle parole di Edgar Borges. 

Il tempo è però tiranno, ed è già il momento di David Majano, guatemalteco, vive a Roma da molti anni e scrive poesie in romanesco (il suo intervento sarà infatti costellato di espressioni veraci, un'esperienza buffissima ed esemplare). Il suo percorso inizia durante la gioventù trascorsa a Città del Guatemala, un periodo romantico in cui la sua visione della realtà era perimetrale, circoscritta alla quotidianità. Questo il suo punto di partenza. Poi ha studiato filosofia al País Basco, dove "la realtà era ‘nantra". Veniva da un’altra realtà, "non era gente sua". Gli studenti baschi avevano un’idea politica totalmente diversa dal resto della Spagna. Lui si sentiva vicino, provenendo da un continente in resistenza. Si faceva domande sul tema dell’identità. A questo punto introduce un aneddoto che lo vede protagonista a Copenhagen, lo scorso ottobre, durante la fiera del libro. Gli viene chiesto quale sia l’identità letteraria latino-americana. Majano è rimasto male per questa domanda, fondata su un'idea euro-centrica delle altre identità. È rimasto zitto e poi ha risposto con un’idea di un filosofo messicano: non importa la universalità del pensiero, perché non esiste. Il pensiero è proprio dell'essere umano, e resta solamente in lui. Ci si chiede "che cazzo sto a far qua…!?", e da tale questione inizia lo sviluppo del pensiero, del pensiero stesso! Ma noi parlando di identità dobbiamo continuare a dire il tema della località, della particolarità, "proprio semo quelo". 
Il boom latino-americano degli anni '50-'60 ha portato la conoscenza di determinati scrittori, ma negli anni ’30 già esisteva un’identità letteraria sudamericana, con Asturias, l'autore di Asturias Leyenda Guatemala, creatore del realismo magico; o Gabriela Mistral, la poetessa che ha vinto il primo Nobel sudamericano nel 1945, perché era già moderna come concetto, come stile. E quindi al giornalista che a Copenhagen gli chiedeva di identità latinoamericana ha risposto, ascolta: ce n’è!



Infine tocca a Luis Felipe Lomeli, scrittore messicano, autore del micro-racconto El migrante, che conta solamente quattro parole. Lomeli esordisce con una provocante affermazione: America es Africa! Ci racconta che la prima volta che è andato a Oriente è andato a Madrid. In Messico, per essere considerato colto, devi necessariamente recarti in Europa. A Vienna è avvenuto però l'incontro con la barbarie. Lo scrittore infatti ha trascorso quindici anni in Messico dove tutto andava bene, o almeno così sembrava, non c’era la coscienza della guerra, mentre a Vienna subisce un vero e proprio shock, stigmatizzato dall'Arco di Trionfo, un concetto da lui ritenuto aberrante. Quindi in Europa Lomeli ha trovato la muerte invece della civilizzazione. La vera culla della civilizzazione, dice, è la Cina, molto più che l'Europa. La meraviglia della Cina è che l’Europa laggiù non esiste. Nelle librerie difficilmente si trovano libri di scrittori europei. Il suo discorso ritorna così dove era partito: l'auotre messicano cita un articolo apparso sulla rivista Granta, How to write about Africa. Io non lo conoscevo, ma vi consiglio di leggerlo, perché è talmente amaro e dissacrante che andrebbe appeso in camera, in ufficio, sui pali della luce, sulle bacheche delle università, insomma ovunque. Lomeli conclude dicendo che le favelas che circondano gli Stati Uniti hanno il medesimo passato coloniale che ha subito l’Africa, ma non è facile da capire, e che creare ponti è complesso perché difficilmente i due continenti parlano tra di loro.

Fosse stato per me l'incontro sarebbe potuto andare avanti per ore ed ore. Ovviamente non mi sono risparmiata e ho voluto chiedere pure a Domeneck un approfondimento sulla questione brasiliana, sfidando la vergogna e parlando al microfono... ah! Comunque questi incontri sono un toccasana per la mente e per il cuore, ti radicano nel mondo, ti attivano il cervello, ti spingono a cercare altre risposte. Meraviglia. 

***


Adesso vi racconto invece dell'omaggio allo scrittore peruviano Julio Ramón Ribeyro che si è tenuto in Sala Turchese, dal titolo La tentazione del fallimento. L'incontro è stato coordinato da Stefano Tedeschi, docente di Lingua e Letterature Ispano-americane alla Sapienza di Roma, che ha esordito dicendo che Ribeyro è un autore che ha sempre amato. La parola viene immediatamente passata al Ministro Pedro Reátegui, segretario dell’ambasciata peruviana a Roma. Il 4 dicembre 1994 moriva uno dei migliori novellisti peruviani del secolo scorso, ci ricorda Reátegui. Da qui la necessità di percorrere nuovi orizzonti di interpretazione delle sue opere. I suoi racconti sono infatti riflessioni sulla vita tutta, sull'infanzia, sulla gioventù, frammenti tramite cui proporre una versione organica della realtà; la sua vita diventa racconto e fantasia. 


Dopo l'introduzione istituzionale, Stefano Tedeschi omaggia la casa editrice romana laNuovaFrontiera, che ha ricominciato a tradurre e pubblicare Ribeyro in Italia, dopo che per più di trent'anni era stato ingiustamente dimenticato. Sono usciti Solo per fumatori, definito un piacere per i lettori, e I genietti della domenicadue dei libri importanti dell’opera di Ribeyro, che ha percorso una traiettoria molto lunga.
Io per il Progetto di Lettura ho divorato Solo per fumatori, e ne sono rimasta a dir poco affascinata. Ribeyro, prosegue Tedeschi, è uno scrittore che in vita non ha avuto il riconoscimento che meritava. «Ha fatto del racconto una condotta morale a cui non ha mai rinunciato». È un grande che però rimane nell'ombra, non ha mai cercato i favori dei giornalisti, il palcoscenico, ha preferito una vita tranquilla, senza particolari problematiche, perseguendo una fedeltà costante all'arte della scrittura. Nel diario che ha tenuto per oltre trent'anni ritroviamo un grande affresco della vita culturale peruviana, europea, latinoamericana. Ha dipinto queste diverse realtà, è stato a Parigi in veste di giornalista e traduttore, e di ambasciatore del Perù presso l'Unesco. In una delle ultime interviste che ha rilasciato, gli venne chiesto quale fosse il racconto della sua vita. Ribeyro rispose "Quello che metterei su un epitaffio", sancendo ancor di più il suo essere un uomo che cercò di capire il mondo ma che arrivò a elaborarne solo gli enigmi. I suoi personaggi hanno domande aperte, dubbi, non sono mai certi di niente. Ci sono zitelle romantiche, bambini magri bocciati in ginnastica, ginnasti decadenti, personaggi marginali, anche molto vitali: tutti hanno subito una sconfitta rispetto al mondo, ma mai sono perdenti. La loro è una personale vittoria rispetto al mondo che li emargina. Così Ribeyro sta ai margini, e spende parole abbastanza ironiche su colleghi scrittori che cercano invece la fama. I suoi riferimenti sono senz'altro Rulfo, Onetti, Arguedas. Qualche dubbio lo nutre su Borges... 
L'interessante percorso letterario dello scrittore peruviano è ispirato molto dal Neorealismo italiano, che ha giocato un ruolo molto importante nella Letteratura ispano-americana degli anni ’50. C'è anche il cinema, la classe media peruviana, alcuni aspetti del racconto fantastico; e ancora gli anni europei, racconti che si allargano, che prendono un colorito di autobiografia come il racconto Solo per fumatori (che dà il titolo all'intera raccolta).



Prende poi la parola lo scrittore Paolo Di Paolo, che ci racconta il suo rapporto con Ribeyro e le occasioni di incrocio generate dalla sua lettura. Ne I genietti della domenica ha trovato una perenne tensione verso qualcosa che non si riesce a raggiungere. Ma quanto davvero falliscono i personaggi di Ribeyro, si domanda Di Paolo? Essi sembrano vivere la possibilità della sconfitta. L’esistenza è sempre una perdita, ma ciò che appaga i personaggi è la densità delle giornate. Paolo Di Paolo ci mostra come Ribeyro sia uno scrittore che accumula, leggendo alcuni passi del suo romanzo prediletto. Quello che si coglie è il tentativo di uscire dal tempo, che sparisce per diventare spettacolo. Ma ciò non è mai veramente possibile, e questa è la condanna. Forse solo gli scrittori sudamericani, però, riescono veramente a entrare oltre il tempo.
Questa riflessione è costante in tutta la sua opera, ricorda Tedeschi, e si accompagna ad una propria riflessione sulla vita, in un magistrale incrocio tra vita, tempo della vita e tempo della Storia.
Se Onetti è crudele, prosegue Tedeschi, Ribeyro ha uno sguardo più compassionevole, ma senza mai scadere nel buonismo. Un narratore implicato, che non guarda mai dall'alto i suoi personaggi, ma sta sempre al loro livello. I suoi racconti sono sempre immersi in un presente ben radicato, e si ci pensa attentamente, dei cento romanzi usciti in America Latina tra gli ’50 e ’70, solo sette/otto appartengono al filone del Realismo Magico, il resto no! E quelle del nostro scrittore peruviano sono storie contemporanee, piene di ambizione e talento, tristezza ed euforia, senza la patina di inquietudine europea provocata dall'attesa.

Anche qui sarei stata a pendere dalle labbra di Tedeschi e di Di Paolo fino a tarda sera, e non riesco a esimermi dall'esternare di fronte a tutti l'amore che ho provato leggendo i racconti di Solo per fumatori, tutta contenta perché anche io avevo sentito l'eco Neorealista, ma pensavo di essermelo inventata. 

Gli Agili Lettori che sono giunti alla fine di questo ennesimo, lunghissimo post, hanno tutta la mia gratitudine: abbiate tanta pazienza, ma non potevo non condividere col mondo le gioie di questo pomeriggio sull'asse Roma-America del Sud

B.  

5 commenti:

  1. al secondo evento mi sarebbe tanto piaciuto partecipare, peccato che mi era sfuggito :(
    con Stefano Tedeschi ho fatto due esami di Letteratura Ispanoamericana, è stato lui a farmi scoprire e amare questa letteratura *_*

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    Risposte
    1. Spero allora di essere riuscita a restituirti un po' della bellezza dell'incontro, Giovanna!
      Wow, che esami devono essere stati, mi è piaciuto tantissimo Tedeschi, interessante e coinvolgente... che invidia!

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  2. Faccio fatica a rapportarmi alla letteratura latinoamericana. Se escludo la Allende e Neruda, la mia conoscenza si ferma lì. Ho provato con Marquez con pessimi risultati.
    Vale se aggiungo Saramago, che è portoghese? :D

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    Risposte
    1. Ahahaha ma sì dai, lo facciamo valere! Eh lo so guarda, i sudamericani o piacciono o provocano proprio astio... magari però devi ancora incontrare l'autore che ti faccia innamorare perdutamente!

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